Le due donne si raccontano nella docu serie prodotta da Fremantle Italia – uno dei titoli più attesi della prossima stagione su Netflix - e in una biografia in uscita in contemporanea, come rivelano le stesse protagoniste in un’intervista a La Stampa piena di dettagli interessanti
Il conto alla rovescia è ufficialmente scattato: il 21 settembre esce Wanna, la docu serie di Netflix che racconta l’epopea di Wanna Marchi e della figlia Stefania Nobile, controverse venditrici di prodotti dimagranti (capaci di fatturare 300 milioni di lire al giorno, quando c’erano ancora le lire) diventate poi “artiste della truffa” e passate dagli incredibili successi commerciali e mediatici a colpi di “d’accordo” e di sale scaccia malocchio, all’arresto avvenuto il 24 gennaio del 2002. Vent’anni dopo si raccontano nella docu serie prodotta da Fremantle Italia – uno dei titoli della piattaforma più attesi della prossima stagione – e in una biografia in uscita in contemporanea, come rivelano le stesse protagoniste in un’intervista a La Stampa piena di dettagli interessanti.
WANNA E STEFANIA MARCHI, IL CARCERE, GLI ERRORI E IL VOLONTARIATO – “Se non avessimo il carattere che abbiamo, ora penzoleremmo da un cappio“. Lo dice senza troppi giri di parole Stefania Marchi, rievocando i nove anni e tre mesi di galera tra cella, domiciliari e semilibertà. Poi spiega: “Io soffrivo e soffro tuttora di una patologia per cui non ci sarei dovuta neanche tornare in carcere, roba che un mafioso lo mandano fuori e io invece no”. Ma non arretra di un passo rispetto a ciò che è stato, sostiene che “il marchio del delinquente ti resta addosso a vita” e aggiunge: “La galera però ci ha insegnato tanto e rifaremmo tutto, nel bene e nel male. Oggi facciamo volontariato per i detenuti con l’associazione Nessuno tocchi Caino”. Sia Stefania che Wanna Marchi ammettono le loro colpe (“non abbiamo mai detto di essere innocenti”) e se la prendono col sistema giustizia: “La mela l’avevamo rubata, ma siamo state processate anche per aver ammazzato il contadino. Secondo la mia valutazione noi rischiavamo due anni di reclusione”.
I SOLDI GUADAGNATI E LE ACCUSE AL SISTEMA MEDIATICO – Nell’intervista a La Stampa c’è una parola che torna spesso: soldi. Anche nella parziale auto assoluzione di Wanna Marchi, che dice: “Nella docu serie di Netflix che ci riguarda spieghiamo come i troppi soldi fanno perdere il senso delle cose. Un errore c’è stato, sì, ma non così grave”. Poi, a proposito degli indimenticabili prodotti scioglipancia (che annunciano di voler vendere anche nel Metaverso), aggiunge: “Ci credevamo. Non si vendono prodotti per 300 milioni di lire al giorno se non sono di qualità“. Ma il discorso si fa più complesso e dai soldi si passa al sistema mediatico che, secondo loro, avrebbe cercato di danneggiarle riuscendosi in pieno: “Io sono una donna che parla poco, ma colpendo Wanna Marchi che fatturava miliardi di miliardi hai creato un effetto domino e distrutto una metodologia di vendita“, sbotta la Marchi. E la figlia Stefania completa il ragionamento: “Il resto del sistema televisivo ha preso possesso delle piccole emittenti che vivevano di televendite. Il 21 novembre del 2001 ci fu il primo servizio di “Striscia”, il 24 gennaio del 2002 ci hanno arrestate, e il fatto che si fosse mosso “Striscia la notizia” non è casuale”.
LE MARCHI PAGATE PER NON FARE L’ISOLA DEI FAMOSI – C’è di mezzo anche Striscia, almeno stando a quando dice Stefania Nobile, anche dietro la loro mancata partecipazione all’Isola dei Famosi, nel 2017: era tutto pronto per la loro partenza poi però Mediaset stoppò l’ingaggio. “Siamo state pagate per stare a casa” rivela la Nobile.”A tre giorni dalla partenza per l’Isola è uscito un servizio di Striscia che sosteneva che gli italiani non ci volevano dopo aver fatto parlare tre persone che avevano istruito. Magnolia (la società di produzione del programma, ndr) ci ha liquidato tutto”. Chissà come le prenderà Antonio Ricci queste affermazioni.