Intervistato da LaVerità propone di azzerare l'aiuto alle persone economicamente più deboli per destinare i fondi anche al taglio del cuneo fiscale. Insomma togliere i soldi ai disoccupati per darli a chi ha un lavoro ce l'ha. Di numeri nel ragionamento ce ne sono pochi e quando ci sono sono sbagliati
Di abbagli in campagna elettorale se ne sono sempre presi tanti, figuriamoci nel mezzo dell’agosto più caldo di sempre. E così i numeri a caso si sprecano, a maggior ragione quando si tratta di Reddito di cittadinanza. Su imboccata confindustriale, il male di tutti i mali che affliggono il paese. Oggi è il deputato di Fratelli di Italia Galeazzo Bignami a regalarci una proposta inedita dalle colonne del quotidiano LaVerità: togliere i soldi ai disoccupati per darli a chi ha un lavoro ce l’ha. “C’è una disponibilità della coalizione a tagliare le somme spropositate (80 miliardi fino al 2029) stanziate per il reddito di cittadinanza e a usarle massicciamente per tagli di tasse?”, domanda l’intervistatore. “Su questo occorre essere chiari: il reddito di cittadinanza ha fallito pur essendo vero che alcuni hanno bisogno di un aiuto. Ma è impensabile che si dia a un giovane in salute il doppio di quanto si dà in sussidio ad un disabile. A mio avviso dunque occorre liberare subito quelle risorse, e utilizzarle per tagliare il cuneo fiscale”, risponde Bignami.
Da dove iniziare? Che la cifra di 80 miliardi fino al 2029 sia una cifra “spropositata” è opinabile. A titolo di esempio, da qui al 2029 spenderemo almeno 400 miliardi di euro per pagare gli interessi sui nostri titoli di Stato, altri 800 miliardi almeno per la sanità, e 200 miliardi per spese militari. Che l’unico intervento a contrasto di una povertà che dilaga nel paese sia “spropositato” pare quindi affermazione del tutto arbitraria. Secondo i dati dell’Inps nei primi tre anni il reddito di Cittadinanza è stato erogato a 2 milioni di nuclei familiari, per un totale di 4,65 milioni di persone e per una spesa di 19,8 miliardi, meno di 7 miliardi l’anno. L’Istat ha certificato che un milione di famiglie sono state salvate dalla povertà grazie a questa misura. Curioso quindi parlare di un “fallimento”.
Il taglio al cuneo fiscale insistentemente chiesto da Confindustria è di 16 miliardi di euro l’anno. E già qui i numeri stridono: la completa soppressione del reddito di cittadinanza finanzierebbe meno della metà della sforbiciata. Vale poi sempre la pena ricordare che il cuneo fiscale è la differenza tra quanto un’impresa versa ad un lavoratore (comprese tasse e contributi) e quello che compare effettivamente al netto in busta paga. Tagliare il cuneo significa, in sostanza, alzare gli stipendi ma ridurre i soldi versati allo Stato per le sue spese (sanità, pensioni, sicurezza, etc). Questo ammanco va comunque riempito, o alzando altre tasse (che finiscono per essere di nuovo pagate dal lavoratore) oppure riducendo le prestazioni erogate dallo Stato, con un conseguente aggravio dei costi per i cittadini. Benché materialmente i soldi vengano versati dalle aziende in realtà il carico del cuneo è tutto sulle spalle dei lavoratori. I datori di lavoro possono infatti molto semplicemente parametrare gli stipendi tenendo conto degli oneri fiscali e contributivi e annullarne l’effetto sui loro conti. Il taglio auspicato da Confindustria (2/3 a favore dei lavoratori e 1/3 a vantaggio delle aziende) è insomma solo un modo furbo per chiedere più soldi alla collettività. In quest’ottica la proposta di Bignami è un po’ quella di togliere ai poverissimi per dare anche qualcosa in più alle imprese.
Confindustria ha ammesso che il reddito di cittadinanza, importo medio di 553 euro al mese, fa concorrenza ai salari delle aziende italiane. Il che dovrebbe suscitare scandalo per l’infimo livello dei salari (nell’ultimo anno ulteriormente ridotti per effetto dell’inflazione), non perché si aiuta chi versa in condizioni di disagio economico. I giovani in età lavorativa che percepiscono il sussidio sono il 20% del totale dei beneficiari, con una leggera prevalenza di donne. Del tutto arbitrario è sostenere che “i giovani” scelgano di “spassarsela” con 500 euro al mese (la metà dell’affitto di un monolocale a Milano, ndr) invece che cercare un impiego. I dati Istat dicono esattamente l’opposto, non c’è stato alcun effetto di questo tipo. Anzi, i contratti stagionali, benché poveri e spesso con condizioni lavorative discutibili, sono oggi di più rispetto a prima che venisse introdotto il reddito di cittadinanza. Restando fedele ai suoi calcoli Bignami dovrebbe forse preoccuparsi che un disabile percepisca 250 euro al mese, più che scagliarsi contro le fasce più deboli della popolazione.