La sua malattia, un cancro al seno, era comparsa nel 1992. Quattro anni fa nel suo ranch di Santa Barbara, quando la terza recidiva del male non l’aveva ancora colpita, spiegava così: “Il cancro ti insegna a godere di ogni giorno, di ogni minuto. La musica mi ha salvata e aiutata sempre nella vita. Le sono infinitamente grata”
A volte basta una sola immagine per evocare un’epoca. Coi suoi ideali, con le sue conquiste o fallimenti. Con la sua leggerezza o gravità. Come quella della scena finale di Grease, il film musical che ha dato il successo planetario all’attrice e cantante Olivia Newton John scomparsa a 73 anni. Per una recidiva di cancro. Nei panni della protagonista, la brava ragazza Sandy tutta cerchietti e gonne a ruota si trasforma improvvisamente in una sorta di antagonista di se stessa. Da timida diventa coraggiosa, da ingenua collegiale diventa donna sexy, sicura del suo charme. Addirittura dominatrice. Ironicamente aggressiva. Distaccata come una che sa quello che vuole e come ottenerlo. E Danny che fa? Interpretato da un John Travolta davvero strepitoso nel ruolo, assiste incredulo e felice, totalmente ammaliato. Sta al gioco come un bambinetto.
E’ solo una questione di look? No. Il chiodo nero con fodera rossa, il top, i pantaloni di pelle aderenti e gli zoccoli rossi, senza l’espressività dell’artista nel canto, nella recitazione e nel movimento, sarebbero abiti da manichino. Invece Olivia Newton John, in quel film ambientato negli anni ’50 ma prodotto nel 1978 diventa un’icona, un riferimento femminile. Di lì a poco, negli anni ’80, imperverserà nello spettacolo e nella moda un’estetica femminile in parte ispirata a quel modello. Donne sportive, consapevoli del proprio corpo, per nulla remissive, che ricordano manager in carriera oppure vamp che sono loro a gare degli uomini maschi oggetto dei loro desideri.
Il video clip della canzone Physical, del 1981, ne è il simbolo. Olivia Newton John, con fascetta fra i capelli corti, leggins e body sgambato, si muove in una palestra piena di uomini che si allenano. Sono grassi e panciuti. Lei li sprona a diventare dei veri palestrati. Un po’ inorridita dalla loro goffaggine. Alla fine il sogno: sono loro a trasformarsi in modelli di muscoli. Questa nuova dimensione della sensibilità femminile, ostentata scherzosamente, fa venire in mente un’altra icona degli anni ’80. Madonna. Che, appare chiaro, non è stata la prima a infrangere le regole: a inserire motivi su sessualità e omosessualità. In Physical attraction, per esempio. E in Material girl, dove con appoggia il piede con tacco sul maschio rotolato dalle scale.
Nel gruppo Facebook Madonna the worst copycat in the world, ci sono le foto abbinate delle due artiste. Madonna ha la stessa fascetta sui capelli, lo stesso chiodo con l’interno rosso. Le stesse pose, gli stessi occhiali da sole. Insomma, sarebbe una copiona plagiatrice anche dello stile di Olivia. Se pensiamo ad altre immagini simbolo di quegli anni, la memoria va ad altre immagini iconiche: Jennifer Beals in Flashdance, la cantante Cindy Lauper, l’attrice Jane Fonda nella sua tenuta da ginnastica aerobica. E naturalmente a Lady Diana, icona di classe. Quell’iconico outfit di Sandy nella scena finale di Grease è stato venduto all’asta per ben 405.700 dollari. Ad acquistarlo un collezionista anonimo, fan della pellicola. I proventi? Alla Fondazione Olivia Newton-John Cancer Wellness and Research Centre di Melbourne, realizzata proprio da Olivia Newton John per sostenere la ricerca contro il cancro.
La sua malattia, un cancro al seno, era comparsa nel 1992. Quattro anni fa nel suo ranch di Santa Barbara, quando la terza recidiva del male non l’aveva ancora colpita, spiegava così: “Il cancro ti insegna a godere di ogni giorno, di ogni minuto. La musica mi ha salvata e aiutata sempre nella vita. Le sono infinitamente grata”. Allora può essere da qui, da questa testimonianza di tenacia e di passione per la vita e per l’arte, che si può provare a ripercorrere la sua esistenza. Un talento precoce, già da bambina affascinata e tentata dal canto. Era nata a Cambridge, a cinque anni si era trasferita con la sua famiglia in Australia. Una famiglia agiata e lei per nonno materno aveva anche un Nobel per la fisica, Max Born. A scuola iniziano ad affiorare vocazione e talento.
Fonda con i suoi compagni una band chiamata Soul Four, e si esibisce nel locale di un suo familiare. Poi da solista vince un concorso per nuovi talenti. Il premio? Un viaggio in Inghilterra. Durante la sua permanenza nel 1966, Olivia incide il suo primo singolo per la Decca: Till You Say Be Mine. La sua carriera decolla. Nel 1970 viene selezionata in una band chiamata Tomorrow, composta per con il musical omonimo del quale viene pubblicata la colonna sonora. Poi la sua collaborazione con Bruce Welch e John Farrar; autore e produttore di riferimento dei suoi maggiori successi di Olivia. Incontra Cliff Richard, con lui una serie di special televisivi e molti tour. In Inghilterra diventa popolarissima. Va all’Eurovision nel 1974 ed è quarta con Long Live Love. Poi una sequenza di Grammy Award e il primo disco d’oro. Nei 15 anni che intercorrono tra il 1970 e il 1985 piazza ben 15 singoli nella top ten di Billborad.
Insomma, è già una star quando arriva l’occasione che segnerà l’intera sua carriera: Grease. Partecipa ai provini ed è scelta come protagonista. E, a ripensaci oggi, chi altra avremmo potuto volere in quel ruolo? La ragazza (in realtà lei aveva già 29 anni e si sentiva “vecchia” per il ruolo) con gli occhi perennemente sgranati? La voce potente e sbarazzina, le movenze del ballo sedicenti senza alcuna volgarità? Chi meglio di lei avrebbe potuto raccontare per immagini la storia di una giovane nerd che sfida ogni convenzione per trasformarsi alla fine in una splendida farfalla vestita di pelle?
E’ la storia di un’affermazione personale al di là dell’ostilità delle due rispettive confraternite. Calata in un film degli anni Settanta che è tutto una celebrazione dei Cinquanta, con una colonna sonora d’eccezione che rimane incollata alle orecchie. Ed è da lì che la sua immagine sul grande schermo inizia a propagarsi come un esempio di stile che contagerà le generazioni a venire. In epoca di mee-to anche Grease viene contestato: “E’ la storia di una donna che si adegua al suo uomo pur di tenerselo”, tuonano i detrattori. Invece no: è la storia di una ragazza ingenua e romantica che si realizza. “Se sento una canzone del film, mi viene subito da ballare. E spesso lo faccio”. Aveva quasi settant’anni Olivia Newton John quando raccontò così, nella maniera più semplice e schietta, il suo rapporto con Grease. Quel cancro che l’ha tormentata per quasi metà della sua esistenza non le ha mai tolto voglia ed entusiasmo di vivere: “Se pensi tutto il giorno che sei malata, hai perso in partenza”.