L'ex ministro è convinto che di non dover raccogliere 56.250 sottoscrizioni nel giro di due settimane per potersi presentare alle elezioni, perché con la lista Pd-Siamo europei nel 2019 fu eletto a Strasburgo. Come spiega Gabriele Maestri, però, il contrassegno fu presentato solo dai dem: tutto dipende quindi da come sarà interpretata la norma inserita nell'ultimo decreto elezioni. Parrini: "Le regole sono queste, non le può cambiare con un'intervista"
La questione della raccolta firme “pesa zero”. Lo continua a ribadire il leader di Azione, Carlo Calenda che a Morning News su Canale 5 ha spiegato: “Il Parlamento europeo ha mandato al Viminale la certificazione che io sono stato eletto in una lista composita, quindi non è un problema l’esenzione che è a piena norma di legge”. Calenda è sicuro che, anche con la fine dell’alleanza con PiùEuropa dopo la rottura del patto con il Pd, la sua Azione non sia costretta a raccogliere 56.250 firme nel giro di due settimane per presentarsi alle prossime elezioni. Una prima cosa è certa, però: non spetta né al Parlamento Europeo né al Viminale fornire pareri sulle deroghe alla raccolta delle sottoscrizioni. Non è l’unica falla nel ragionamento di Calenda, perché nel 2019 l’attuale leader di Azione fu certamente eletto in Europa nella lista “Pd-Siamo europei“, ma non basta questo a dimostrare che Siamo europei – poi diventata Azione – abbia partecipato a quelle elezioni “con proprio contrassegno“, come invece prevede la norma. Infatti, il simbolo di Siamo europei era presente nel contrassegno della lista insieme a quello del Pd, ma quello stesso contrassegno fu presentato e depositato solamente dal Partito democratico. L’altra certezza, invece, è che a decidere saranno gli Uffici centrali circoscrizionali, che potrebbero interpretare le norme in senso estensivo ma anche restrittivo. Per questo, per Calenda, la strada di un’alleanza con Matteo Renzi appare obbligata.
Per capire perché l’aspetto del contrassegno è dirimente, bisogna procedere con ordine. Calenda il primo annuncio lo ha fatto lunedì sera a La7: “Sulla questione delle firme abbiamo verificato una esenzione: ci sono state comunicazioni ufficiali del Parlamento europeo”. Questa mattina ha ribadito: “Sono stato eletto con una lista che era Pd-Siamo europei, una lista composita. Azione è la stessa associazione di Siamo europei, quindi l’esenzione è piena a norma di legge”. Secondo Dario Parrini, presidente della commissione Affari Costituzionali e senatore del Pd, Calenda ha torto: “Tra tante cose dubbie una è certa: Azione non può essere esentata dalla raccolta firme. O mette insieme le oltre 30mila richieste, o si consegna a Renzi che la dispensa ce l’ha. Tertium non datur. Le regole sono queste, non le cambia un’intervista di Calenda”, ha scritto su Twitter. Ecco quali sono i punti critici del ragionamento di Calenda.
Il decreto Elezioni – I partiti esentati dalla raccolta firme per legge sono quelli che hanno un gruppo parlamentare in entrambe le Camere. L’ultimo decreto Elezioni però ha allargato l’esenzione a chi aveva un gruppo almeno in una Camera al 31 dicembre 2021: così sono rientrati nei paletti tra gli altri anche Italia Viva e Coraggio Italia. Il decreto prevede inoltre la deroga a chi ha partecipato alle ultime elezioni della Camera o del Parlamento europeo “con proprio contrassegno” e ha ottenuto seggi al proporzionale. Proprio a quest’ultimo passaggio si aggrappa Calenda per evitare la raccolta firme: Azione nasce da Siamo europei, che partecipò alle ultime elezioni europee nel contrassegno con il Pd, grazie al quale lo stesso Calenda fu eletto nel proporzionale a Strasburgo.
Il dilemma su Azione – Fin qui è tutto corretto, ma come spiega Gabriele Maestri, studioso di diritto elettorale e dei partiti, in un blog sul suo sito “I simboli della discordia”, qui emerge un problema. Seppure Azione – ancora con il nome Siamo europei – abbia partecipato alle elezioni europee con dei propri candidati, non si può dire con certezza che abbia corso “con proprio contrassegno“, la dicitura prevista nel decreto Elezioni. Infatti, il simbolo di Siamo europei era presente nel contrassegno della lista insieme a quello del Pd, ma quello stesso contrassegno fu presentato e depositato solamente dal Partito democratico. In altre parole, il contrassegno era formalmente solo del Pd e non anche di Siamo europei. L’associazione di Calenda alle elezioni europee del 2019 non era ancora iscritta al Registro dei partiti: l’iscrizione è avvenuta solamente a novembre 2019, pochi mesi prima del cambio di denominazione in Azione. Invece di presentare il proprio Statuto, però, avrebbe potuto presentare la dichiarazione di trasparenza allegata alla presentazione del contrassegno. Invece questo documento non figura, tanto che sul sito del Viminale alla pagina “Trasparenza – Elezioni europee 2019” compare solamente il nome Partito democratico, senza essere accompagnato da “Siamo Europei”. PiùEuropa si candidò con Italia in Comune e Partito democratico europeo: sul sito compaiono le tre diciture e sono allegati lo statuto e le due dichiarazioni di trasparenza (vedi foto). Calenda è convinto che la sola presenza del suo simbolo sia sufficiente per rientrare nelle deroghe previste dal decreto Elezioni, che però parla espressamente di “deroga a chi ha partecipato alle ultime elezioni della Camera o del Parlamento europeo con proprio contrassegno“. Il Viminale non ha voluto confermare a ilfattoquotidiano.it di aver ricevuto una eventuale certificazione dal Parlamento europeo. Ma poco conta: dirimente è la valutazione degli Uffici elettorali circoscrizionali, costituite presso le Corti d’Appello, che sono chiamate a verificare se le liste “siano sottoscritte dal numero di elettori prescritto, dichiarandole non valide se non corrispondono a queste condizioni”.
La strada Renzi obbligata dalle scadenze – Per queste ragioni Azione non può avere la certezza di poter presentare le proprie liste senza aver raccolto le firme. “Noi stiamo raccogliendo le firme e faremo una campagna finalmente fatta solo su cose da fare, sulle cose di buonsenso che non sono di destra o di sinistra e che l’Italia si aspetta da anni. Del resto mi interessa poco”, diceva ancora ieri pomeriggio Calenda intervistato al Tg1 su un eventuale accordo con Matteo Renzi. Ma il leader di Azione non ha molto tempo per correre ai ripari: le liste con le candidature si presentano il 21 e il 22 d’agosto (dalle 8 alle 20), sempre negli uffici elettorali nelle sedi delle Corti d’Appello. In quel momento vanno depositate anche le firme, se necessarie. Mancano meno di due settimane. Inoltre, già alle ore 16 di domenica 14 agosto vanno presentati al ministero dell’Interno i contrassegni, quindi le eventuali alleanze e coalizioni dovranno essere definite. Un’alleanza con Italia Viva – come quella fatta e poi saltata con PiùEuropa – darebbe a Calenda la certezza di potersi presentare alle urne il prossimo 25 settembre. Senza un accordo con Renzi, invece, rischia di doversi trovare a raccogliere le firme in una settimana o a fare all-in su un’interpretazione estensiva delle norme da parte degli Uffici elettorali.