Fino ad oggi l'autorità di settore Arera ha aggiornato i prezzi in base alle quotazioni dei contratti forward (cioè scommesse sul futuro) all'hub Ttf. Ancora a giugno rivendicava la scelta, a fine luglio ha cambiato idea. La volatilità su quel mercato opaco e senza limiti al prezzo massimo avvantaggia i grandi trader, le compagnie e i Paesi produttori come la Norvegia che è ora diventata il primo fornitore d'Europa
La dinamica dei prezzi del gas sembra sempre più fuori controllo. L’allarme lanciato da Arera, l’authority che sarebbe preposta alla regolazione del mercato, ha creato ulteriore preoccupazione nei cittadini e nelle imprese. Utilizzo il condizionale perché in 27 anni di vita la struttura italiana, incaricata dell’analisi e definizione delle regole del mercato dell’energia, ha svolto più il ruolo del notaio che quello del regolatore. Certifica l’andamento dei prezzi e le ricadute sulle bollette di cittadini e imprese ma poco o nulla fa per impedire che alcune distorsioni abbiano devastanti effetti negativi sui costi del sistema. Nello specifico anche nell’ultimo “rapporto sul monitoraggio dei contratti di approvvigionamento destinati all’importazione di gas in Italia”, trasmesso al Parlamento lo scorso 12 giugno, si era limitata a ribadire la scelta di costruire il sistema dei prezzi “pari alla media aritmetica delle quotazioni forward trimestrali OTC relative al trimestre t-esimo del gas, presso l’hub Ttf e rilevate nel secondo mese solare antecedente il medesimo trimestre”.
Tradotto dall’ipertecnicismo: il 95% del prezzo reale è legato all’andamento delle quotazioni di contratti forward (cioè scommesse sul futuro) su un mercato non regolamentato (over the counter) presso l’ormai famigerato hub Ttf creato ad Amsterdam. Nel rapporto al Parlamento Arera legittimava la sua scelta affermando “la scelta di fare riferimento a quotazioni rilevate presso l’hub Ttf e non nei mercati a termine nazionali deriva dalla considerazione dei diversi livelli di liquidità, in quanto i rischi di manipolazione di mercato aumentano significativamente in presenza di un basso livello di liquidità. Tale considerazione ha indotto l’Autorità a non utilizzare sino ad oggi il riferimento ai prodotti PSV (punto di scambio virtuale) mantenendo il riferimento all’indicizzazione al Ttf che risulta essere, ancora oggi, la piattaforma di scambio più liquida in Europa” mentre “il mercato a termine nazionale centralizzato, organizzato dal GME, risulta ancora poco liquido e competitivo rispetto al TTF, in particolare con riferimento ai prodotti forward utilizzati per la determinazione dei prezzi di tutela”.
Ai vertici della nostra Authority non devono avere le idee chiare, però, perché a meno di due mesi di distanza, con la delibera del 29 luglio scorso, hanno ribaltato completamente il giudizio: “Nell’ambito della consultazione gli utenti hanno indicato il riferimento al prezzo PSV Day Ahead come indice maggiormente rappresentativo del prezzo spot del mercato italiano in quanto caratterizzato da livelli di liquidità più significativi rispetto agli altri indici in quella sede proposti e idoneo a limitare i costi delle attività di copertura del rischio; pertanto l’Autorità con la deliberazione 189/2022/R/gas ha adottato il prezzo PSV Day Ahead come riferimento di prezzo dei citati contratti”. Insomma dal prossimo primo ottobre, e solo per i consumatori privati, Arera utilizzerà la piattaforma nazionale PSV gestita dal Gme invece dell’hub Ttf di Amsterdam. Un cambio che potrebbe avere effetti positivi per i cittadini in considerazione di una situazione palesemente sempre più fuori controllo sulla piattaforma di Amsterdam.
Per comprendere meglio di che cosa si tratta è indispensabile una breve ricostruzione storica. Creato da Gasunie Transport Services B.V, come alternativa al National Balancing Point britannico, il Title Transfer Facility si è trasformato in uno standard globale anche a fronte del contemporaneo calo degli scambi sul principale omologo americano, l’Henry Hub di Chicago. Formalmente il Ttf di Amsterdam è regolato da ICE Endex. Non ci sono limiti al prezzo massimo. Quindi non esisterebbe la possibilità di sospendere le negoziazioni per eccesso di rialzo. Il limite di posizione mensile è fissato al 25% dei volumi che possono essere consegnati pari a quasi 55 milioni di Mwh su un totale disponibile di circa 219 milioni. Limiti in linea con gli standard del sistema di trading delle materie prime che sono piuttosto larghi per consentire ampio margine di manovra per strategie di copertura del rischio degli operatori. Esma, il regolatore europeo, ha solo funzioni di coordinamento e armonizzazione. In sintesi, i limiti li stabilisce Ice (una borsa finanziaria privata che vive delle commissioni sui contratti scambiati sulla propria piattaforma) e le authority, con Esma, si limitano a valutare la compatibilità con la MiFiD, la normativa europea sui mercati finanziari.
Un enorme castello di carte per un mercato opacissimo: in base alle stesse regole di funzionamento le informazioni sui contratti, sugli attori e le posizioni sono riservate e non pubbliche. Ci si deve, quindi, affidare alle informazioni iper tecniche e alle congetture di alcuni operatori ed analisti che confermano in pieno che il Ttf è una bisca legalizzata dove pochissimi operatori (215 nella lista disponibile sul sito dell’ICE) determinano la sorte di milioni di imprese e centinaia di milioni di cittadini europei. Per ammissione di tutti gli osservatori il mercato di Amsterdam è altamente volatile, cioè estremamente sensibile alle fluttuazioni dei prezzi, e scarsamente liquido. Basti considerare che complessivamente i contratti forward che vengono scambiati possono valere circa 250 milioni di megawattora al mese, cioè il valore medio dei consumi reali dell’intera Ue mentre normalmente un sistema di copertura forward è alcuni multipli del sottostante (per esempio il petrolio).
Il primo balzo speculativo dei prezzi si è prodotto dopo la fine della pandemia proprio per effetto delle posizioni ribassiste dei grandi trader (Trafigura, Gunvor e Glencore in primis): quando si è manifestata la ripresa i prezzi si sono mossi al rialzo e, quindi, sono stati costretti a chiudere le operazioni riacquistando i contratti sul gas. Questo ha alimentato la domanda dei titoli future che erano stati venduti allo scoperto in precedenza, facendo alzare ulteriormente il prezzo. L’episodio ha provocato pesanti proteste da parte di diverse categorie di operatori, dai gestori delle reti ad alcuni big player come Shell, senza che la Commissione europea o altre autorità siano in alcun modo intervenute né abbiano indagato sulle dinamiche che hanno prodotto la distorsione dei prezzi. D’altra parte in questa fase caratterizzata da un economia di guerra, nel mercato c’è chi, senza dubbio, sta guadagnando (moltissimo) dall’enorme volatilità del Ttf: oltre ai soliti noti (trader dell’energia e grandi compagnie con Eni o Bp) anche paesi come la Norvegia dato che proprio in questi giorni ICIS, il più importante sito di informazioni e analisi sulle materie prime, ha evidenziato che il paese nordico è diventato il primo fornitore in Europa con il 25% del mercato seguita dal gas liquefatto statunitense e solo al terzo posto da quello di origine russa.