Fa un effetto quasi scioccante guardare alla campagna elettorale per le prossime elezioni considerando ciò che è accaduto al mondo e all’Italia negli ultimi anni e decenni. Sembra una competizione elettorale degli anni Novanta, anzi sarebbe stata vecchia già allora. Quando ho visto Salvini che andava a Lampedusa per lanciare il suo tour elettorale, non ho creduto ai miei occhi. In un’Italia che non ha più acqua, che comincia a confrontarsi con temperature che presto potrebbero essere insopportabili al corpo umano – e che comunque hanno stravolto per sempre il nostro clima mediterraneo, che non c’è più – l’urgenza è andare ad attaccare poche centinaia di esseri umani disperati, bruciati dal sole e in cerca di una vita senza torture e violenze.
Ma non ho creduto ai miei occhi neanche quando Letta ha stilato un patto con Calenda, nel cui programma figura, molto chiaramente, il rilancio del nucleare. Pensando alla Francia, le cui centrali sono in difficoltà per l’acqua troppo calda che non riesce a raffreddarle, c’è veramente da ridere, se non da piangere.
Cosa voterebbe un giovane?
In generale, nessun partito parla di clima né ha deciso di mettere al centro la crisi climatica. L’ambiente figura come un contenuto tra gli altri; i partiti, Pd compreso, sono ancora fermi sulla “tutela” e la “salvaguardia” e non sul contrasto alla crisi. I 5Stelle sono più sensibili ai temi climatici, ma forse la campagna sul termovalorizzatore li ha schiacciati su un tema non centrale. Nessun partito in ogni caso ha pensato che invece la questione climatica interessa la maggioranza della popolazione, stremata da un’estate torrida, preoccupata dalla mancanza di acqua. Inquieti sono soprattutto i giovani, che quest’anno voteranno anche al Senato, una riforma importante, ma per chi voteranno? Quale partito si interessa della vivibilità della loro esistenza nei prossimi anni? C’è Europa Verde di Bonelli, certo, ma si tratta di un partito minoritario, mentre quello di cui abbiamo bisogno non è il piccolo partito dalle idee verdi ma che i partiti maggioritari facciano propria la battaglia climatica, esattamente come ha fatto Biden nella sua campagna elettorale.
Leader maschi, bianchi, di mezza età e tutti narcisi
A leggere i giornali e guardare la tv italiana, magari mentre si è da qualche altra parte del mondo, si prova un senso di sgomento. Una destra ferma ancora alla flat tax, una sinistra che blatera di riforme vaghe che peraltro è costretta a modificare a seconda delle alleanze del momento, come se non avesse una fisionomia e un’identità. Ma negli studi televisivi a sconcertare non sono solo i politici: pure i giornalisti, nei talk show anche loro vecchi anni luce, non pongono alcuna domanda sul clima perché di crisi climatica, con tutta evidenza, non sanno nulla.
Infine sconcerta il narcisismo generale di chi parla come politico e di chi domanda come giornalista. I leader sono quasi tutti uomini di mezza età, bianchi, appunto maschi. Se anche a sinistra la “Grande Muraglia” avesse funzionato, avremmo avuto ben cinque leader maschi. C’è il sospetto che stiamo andando verso la rovina anche a causa loro, e che probabilmente le donne farebbe molto meglio quanto a cura del clima, anche se è vero che forse avremo una prima ministra donna (ma con un partito di maschi vecchi e ideologizzati); così come è vero che spesso per ogni uomo narciso corrispondono donne pronte a confermare il suo narcisismo (vedi Gelmini e Carfagna).
Di quanti morti ancora abbiamo bisogno?
Al di là della questione femminile, quello che è evidente che il governo che si formerà, qualunque esso sia – di destra, di centro, un Draghi bis – non metterà il clima al centro della sua agenda. E dopo tutto quello che è accaduto, dopo i roghi che hanno avvolto l’Italia e i 733 morti per il caldo di quest’estate, tutto ciò ha dell’incredibile. Persino in Australia i grandi incendi hanno spinto la sinistra – che ha parlato moltissimo di clima – a vincere. Il cambiamento non ci sarà dall’alto, ma solo dal basso, attraverso una rivoluzione sociale di cui però per ora c’è scarsa traccia.
O forse abbiamo bisogno di crisi ancor più grandi, di ancora più morti. Forse dobbiamo arrivare al punto di non ritorno perché la politica cominci ad accorgersi di ciò che sta accadendo. Fa rabbia, anche se ha sempre funzionato così, ma il problema è che la lotta al clima necessita di una pianificazione di lungo periodo, non esiste un “bonus” clima, non esistono misure dell’ultimo minuto.
L’unica speranza, anche se flebile, resta un’Europa che non ci lascerà fare come vogliamo, unita alla crisi energetica e di materie prima che ci stanno portando – per fortuna e nonostante i proclami contro l’ambientalismo ideologico – alla decrescita forzata. Ma non è così che dovrebbe andare, è la politica che dovrebbe decidere. E mentre in Olanda il primo ministro ha deciso che un terzo dei capi di bestiame andranno abbattuti per ridurre le emissioni (immaginate in Italia) e gli Usa col piano Biden stanziano 740 miliardi per contrastare il cambiamento climatico, da noi si parla di Calenda. Non è forse giusto sentirsi sgomenti?