“Sbagliata“, “cattiva”, “pessima“, “incomprensibile”, “la peggiore di sempre“. Questi sono alcuni dei giudizi che gli esponenti del Partito democratico hanno riservato negli ultimi giorni alla legge elettorale in vigore, il cosiddetto “Rosatellum bis“. Questo, invece, è il boato da stadio con cui il 12 ottobre del 2017 i deputati del Partito democratico festeggiarono l’approvazione di quella stessa legge, che prendeva il nome dal loro capogruppo dell’epoca, Ettore Rosato. La soluzione “migliore possibile“, dicevano eletti dello stesso Pd, “equilibrata”, che “favorisce la rappresentanza” e “ridà la scelta ai cittadini”. Un fenomeno di dissociazione di massa? Più cinicamente, in cinque anni è cambiato tutto. A partire dallo scenario politico: nel 2017 l’urgenza di arginare il boom dei 5 Stelle aveva spinto i dem guidati da Matteo Renzi a disegnare una legge a forte componente maggioritaria, penalizzante per il Movimento che (ai tempi) correva rigorosamente da solo. Un’arma che ora si ritorce contro il Pd di Enrico Letta, uscito a pezzi dalla missione di tenere insieme il centro e la sinistra per strappare alla destra più collegi uninominali possibili. Così, complice il cambio di dirigenza e l’uscita dei renziani, il Nazareno ha scelto di lanciare l’operazione “rinnega il Rosatellum”. Dimenticando che a volerlo, difenderlo e incensarlo non è stato il solo Rosato – nel frattempo passato a Italia viva – ma l’intero partito, compresi personaggi che ricoprono tuttora ruoli di primo piano.
A far scoppiare il caso è stata soprattutto una videografica pubblicata dal profilo Twitter ufficiale del Pd. Accompagnata da un testo inequivoco: “Il Rosatellum è il peggior regolamento che abbiamo mai conosciuto per una competizione elettorale”. L’animazione, firmata da Mauro Berruto (ex ct della nazionale di volley e responsabile Sport del partito) critica la legge paragonando i partiti a squadre di calcio: “Cambiano le regole della Serie A. Per vincere lo Scudetto non basteranno più i tuoi punti in classifica, ma la somma dei tuoi più quelli di altre squadre. Ma il campionato, piaccia o no, si giocherà così. Ogni squadra manterrà la propria identità, ma sarà costretta a giocare con il peggior regolamento da quanto esiste il calcio”, si legge nella grafica. Che conclude con un appello a “cambiare queste regole che sembrano fatte apposta per essere incomprensibili”. La contraddizione, però, è troppo grottesca per passare inosservata e così sotto il post si scatena l’inevitabile fact-checking: “Bella faccia tosta”, “ma chi l’ha votato?”, “siete buffi però”, il tenore dei commenti. A cui tenta di rispondere lo stesso Berruto, rivendicando di non essere stato un iscritto dem ai tempi: “È una legge scritta e voluta da qualcuno che oggi nel Pd non c’è più“, si giustifica.
Per dirla con le parole di @mauroberruto, il Rosatellum è il “peggior regolamento” che abbiamo mai conosciuto per una competizione elettorale.
Prova a spiegarcelo con il #RosatellumLeague: “perché il campionato, piaccia o no, quest’anno si giocherà così”???????? pic.twitter.com/bDxWXP7kjT
— Partito Democratico ???????? ???????? (@pdnetwork) August 5, 2022
Ma è davvero così? Basta consultare gli archivi delle agenzie, e gli stenografici delle sedute in Parlamento, per ricostruire chi fece approvare il Rosatellum. Alla Camera il testo passò con 375 favorevoli: a votare sì, tra gli altri, i ministri dem del governo Draghi Dario Franceschini e Andrea Orlando (che spinse pubblicamente per l’approvazione), il deputato Emanuele Fiano (che fu il relatore del ddl), l’ex presidente del partito Matteo Orfini, l’attuale capogruppo al Senato Simona Malpezzi. Idem a Palazzo Madama: tra i 214 sì quelli del senatore Andrea Marcucci, dell’ex ministro Marco Minniti, dell’allora capogruppo Luigi Zanda. Tutti esponenti di peso del Pd attuale, a parte Minniti che si è dimesso da parlamentare nel 2021 per andare a guidare la fondazione Med-or di Leonardo. E anche a scorrere le dichiarazioni dell’epoca non sembra che i dem fossero in crisi di coscienza: “La migliore legge elettorale possibile, un successo della caparbietà e della responsabilità del Pd”, esultava la senatrice (ora deputata) Stefania Pezzopane. Il capogruppo Zanda: “Favorisce la rappresentanza dei territori e la formazione di quelle coalizioni che servono ai partiti per rafforzare i legami politici”, proprio quelle che cinque anni dopo sono diventate l’incubo del Pd. Il ministro Franceschini, incalzato dal fattoquotidiano.it, difendeva la contestatissima scelta di porre la fiducia sul testo: “Serve per approvare la legge in tempi brevi”. E la deputata Alessia Morani liquidava così le critiche dei 5 stelle al meccanismo degli uninominali: “Capisco la difficoltà di doversi presentare a elettori veri, che giudicano il lavoro fatto o non fatto. Capisco che 46 voti presi alle Parlamentarie oggi non garantiscono più il seggio a nessuno, ma questa si chiama democrazia. Se vali passi, se non vali vai a casa”. Risultato? Il M5s vinse quasi tutti gli uninominali del Sud, mentre il Pd scese al minimo storico, conservando solo quelli delle roccaforti rosse in Emilia-Romagna e Toscana.
Adesso però i dem sembrano aver dimenticato quei tempi. A partire da Letta, che su La7 ha dichiarato: “Questa legge elettorale è quella che Renzi volle imporre. Io votai contro e per la prima volta in vita mia, cosa incredibile, non votai la fiducia sulla legge elettorale. Non si mette la fiducia sulla legge elettorale, che trovavo sbagliata. Da quel momento decisi di lasciare, non volevo essere corresponsabile”. In realtà la legge a cui si riferisce è l’Italicum, il primo dei sistemi elettorali voluti da Renzi, approvato nel 2015 e poi dichiarato parzialmente incostituzionale. Mentre non risultano sue prese di posizione contro il Rosatellum, approvato mentre era preside di Sciences Po a Parigi. Anche il deputato Enrico Borghi si scaglia contro la legge elettorale per attaccare Renzi: “Ha la presunzione di forzare dinamiche indotte da una cattiva legge elettorale fatta proprio da lui”. Ma votata anche da Borghi, che all’epoca si guardò bene dall’esprimere il suo dissenso. Il miglior esempio di dissociazione, però, arriva dalla capogruppo dem a Montecitorio Debora Serracchiani. Eccola il 29 ottobre 2017, quand’era ancora governatrice del Friuli-Venezia Giulia: “Il Pd ha il compito di creare le condizioni per un larghissimo centrosinistra in Italia. Senza avere la puzza sotto il naso, senza guardare con diffidenza quelli che ti sono vicini. Se abbiamo fatto il Rosatellum, siamo noi i primi convinti che bisogna fare una coalizione e tenere insieme tutta la sinistra e anche i moderati”. Eccola, invece, l’8 agosto 2022, dopo il naufragio dell’alleanza con Calenda: “Questa pessima legge elettorale ci costringe a fare alleanze elettorali, che nel campo del centrodestra sono state più facili perché lì ormai c’è un capo soltanto che si chiama Giorgia Meloni, e più complesse nel nostro campo”. Scegliete voi a quale versione credere.