Il sogno proibito, la salita sul Colle più alto di Roma, è svanito ancora prima di cominciare a materializzarsi. Cinque mesi fa non c’erano i voti, le condizioni – per tacere delle opportunità – per eleggere Silvio Berlusconi presidente della Repubblica. E ancor prima che cominciassero le votazioni il leader di Forza Italia si tirò indietro. Ma ora che il governo di Mario Draghi è caduto all’improvviso e che il centrodestra sembra avviato verso una clamorosa vittoria elettorale, dalle parti di Arcore hanno ricominciato a sognare. E questa volta si tratta di un obiettivo molto più realistico: la presidenza del Senato. Tramontata l’utopia della prima carica dello Stato, l’ex presidente del consiglio ha cominciato a concentrarsi sulla seconda: un incarico che gli garantirebbe anche lo status di supplente di Sergio Mattarella. Una doppia rivincita per Berlusconi visto che quasi nove anni fa – era il 27 novembre del 2013 – era stato espulso dal Senato, dichiarato decaduto dopo la condanna in via definitiva a 4 anni di carcere per frode fiscale. Dopo essere stato cacciato, dunque, si ripresenterebbe da presidente. Ma andiamo con ordine.
L’assist di Salvini, il via libera di Meloni – La notizia della possibile elezione di Berlusconi alla seconda carica dello Stato era stata anticipata da Repubblica il 24 luglio scorso. A spingerlo sul seggio più alto di Palazzo Madama sarebbe un accordo siglato con Matteo Salvini: in cambio dell’appoggio dei berlusconiani alla caduta del governo Draghi, il leader della Lega avrebbe promesso l’importante incarico al capo di Forza Italia. Un via libera ci sarebbe in linea di massima pure da Giorgia Meloni, molto più concentrata sulla guida del governo. Non ci sarebbe ovviamente alcun problema di numeri: quasi tutti i sondaggi danno al centrodestra la maggioranza sia alla Camera che al Senato. Secondo il regolamento, dunque, entro la metà di ottobre (cioè venti giorni dopo la data delle elezioni) Berlusconi potrebbe essere eletto al vertice di Palazzo Madama: avendo già compiuto 86 anni, sarebbe il più anziano di sempre a essere eletto sulla poltrona che fu di Cesare Merzagora e Giovanni Spadolini, ma pure di Renato Schifani.
Smentite e conferme – Pochi giorni fa, però, l’ex presidente del consiglio aveva smentito quest’ipotesi, sostenendo che le notizie relative a una sua ambizione alla presidenza al Senato fossero “totalmente infondate“. Eppure già il giorno prima del retroscena di Repubblica Alan Friedman – sempre molto informato sulle cose di Arcore – aveva spiegato a La7 che Berlusconi aveva collaborato alla caduta del governo Draghi “per il desiderio di vendicarsi e tornare da presidente del Senato, lo stesso Senato che lo ha espulso”. Il giornalista americano aveva voluto valorizzare la sua ricostruzione sottolineando di essere “biografo di Berlusconi”.
La corsa al Senato – Per un’eventuale candidatura alla successione di Maria Elisabetta Alberti Casellati è ancora presto. Di sicuro c’è solo che per il momento l’uomo di Arcore ha confermato di voler correre per uno dei duecento seggi rimasti disponibili – dopo il taglio dei parlamentari – a Palazzo Madama. “Penso che mi candiderò al Senato, così faremo tutti contenti, dopo aver ricevuto pressioni da tanti, anche fuori da Forza Italia”, ha sostenuto ai microfoni di Radio Uno. L’impressione, per la verità, è quella di un remake della corsa al Quirinale: Berlusconi che pretende l’appoggio della coalizione per essere eletto presidente del Senato, coi leader di Lega e Fratelli d’Italia che – in leggero imbarazzo – prendono tempo. Anche se non si tratta di diventare capo dello Stato, infatti, pure nell’ipotesi di un’elezione alla presidenza del Senato si ripropongono le stesse controindicazioni già sottolineate dalla raccolta firme del Fatto Quotidiano nel gennaio dell’anno scorso. Vediamo quali sono.
La cacciata dal Senato – Berlusconi, come detto, è un pregiudicato per frode fiscale, essendo stato condannato a quattro anni. Una sentenza che lo ha messo fuori gioco, a livello politico, per cinque anni. E dire che l’1 agosto del 2013, il giorno in cui la Cassazione mise il bollo sulla condanna, proprio Salvini scrisse sui social network: “Berlusconi CONDANNATO a 4 anni. Adesso sono curioso di sentire come faranno i Kompagni del PD, sia in Parlamento che su Facebook, a giustificare il fatto che sono al Governo con un Condannato“. Il maiuscolo appartiene al leader della Lega. Lo stesso che lo voleva – almeno a parole – al Quirinale. E che oggi sarebbe il primo sponsor per Berlusconi presidente del Senato.
Berlusconi CONDANNATO a 4 anni.
Adesso sono curioso di sentire come faranno i Kompagni del PD, sia in Parlamento… http://t.co/kS7yWc9ZtE— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) August 1, 2013
Si vola a Bruxelles (molto raramente) – Si sa, però, che in politica tutto scorre velocemente. Molto velocemente. Già nel 2018, d’altra parte, Berlusconi ha incassato la riabilitazione, dopo l’affidamento ai servizi sociali. L’anno dopo è stato eletto al Parlamento europeo: un incarico, quello a Bruxelles, che non gli ha preso troppo tempo. Secondo i dati di ‘midterm’ sulla legislatura europea in corso, pubblicati da Politico nel gennaio scorso, Berlusconi è stato l’europarlamentare più assente di tutta la Plenaria: è stato presente alle votazioni solo nel 59% circa dei casi, meno volte anche di Ioannis Lagos, uno dei leader di Alba Dorata in carcere da aprile del 2021 perché riconosciuto colpevole della costituzione di un’organizzazione criminale.
La sentenza del Ruby ter, l’indagine sulle stragi – A parte l’unica condanna definitiva finora ricevuta, poi, nel curriculum giudiziario del presidente del consiglio rimangono ancora altri nodi da sciogliere. È attesa per l’autunno la sentenza nel processo Ruby ter: Berlusconi è tra gli imputati ed è accusato di corruzione in atti giudiziari per aver pagato alcuni testimoni delle cosiddette “cene eleganti” di Arcore. Per lui la procura di Milano ha chiesto una condanna a sei anni. Poi ci sono le indagini in corso. Al momento Berlusconi risulta ancora personalmente indagato (insieme allo storico braccio destro Marcello Dell’Utri) dalla procura di Firenze come presunto mandante occulto delle stragi del 1993 di Milano, Roma e Firenze. L’indagine – di cui non si ha fino ad oggi alcuna notizia di archiviazione – era stata confermata implicitamente nel novembre del 2019 dallo stesso leader di Forza Italia. I legali dell’ex premier avevano prodotto i documenti per dimostrare come il loro cliente fosse ancora sotto inchiesta da parte della procura competente per le “stragi continentali” commesse da Cosa nostra. In questo modo Berlusconi si era potuto presentare con lo status di “indagato di reato connesso” davanti alla corte d’Assise d’Appello di Palermo, che stava celebrando il processo di secondo grado sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. Processo che in primo grado aveva visto Dell’Utri condannato a 12 anni. Ed era stato proprio l’ex senatore a chiedere la testimonianza dell’amico Silvio, che però aveva potuto avvalersi della facoltà di non rispondere. Alla fine, nonostante il silenzio dell’uomo di Arcore, Dell’Utri è stato comunque assolto: per i giudici non è stato provato che nel 1994 abbia comunicato all’amico Silvio – appena diventato presidente del consiglio – la minaccia stragista di Cosa nostra.
I soldi a Cosa nostra e il ruolo di Dell’Utri – Nelle quasi tremila pagine di sentenza, però, la corte d’Assise d’Appello ritiene confermato che anche dopo l’insediamento del leader di Forza Italia a Palazzo Chigi “proseguirono gli incontri tra Mangano e Dell’Utri. Viceversa, da questi stessi dati, non è possibile trarre una conferma ulteriore ed altrettanto sicura circa il fatto che del contenuto ditali incontri sia stato messo al corrente anche Silvio Berlusconi”. Dunque è provato che, anche dopo la vittoria delle elezioni da parte di Forza Italia, uno dei suoi co fondatori abbia continuato a incontrare Mangano, il boss mafioso famoso per aver fatto da stalliere nella villa di Arcore negli anni ’70. Nella sentenza si parla di due incontri: uno nell’estate del 1994 e uno a dicembre. E in entrambe le occasioni Mangano avrebbe ricevuto rassicurazioni da Dell’Utri sul lavoro in corso per far approvare norme favorevoli alla mafia. I giudici di appello scrivono di “elementi tali da far ritenere che in quel periodo, tra il 1993-1994, Dell’Utri abbia effettivamente incontrato personaggi mafiosi per intessere un patto politico-mafioso nel quale si inserivano gli incontri di Mangano con Dell’Utri per recapitargli i desiderata di Cosa Nostra”. L’ex senatore è stato già condannato in via definitiva per concorso esterno a Cosa nostra, ma soltanto per i fatti commessi fino al 1992: per quelli successivi è stato assolto in via definitiva. Ora questa sentenza sostiene che i suoi rapporti con uomini di mafia continuarono anche in epoca successiva. A pagina 2879, inoltre, i giudici scrivono che “può allora ritenersi che, almeno fino 1994, Cosa nostra ricevette somma lire 250 milioni per ‘antenne’ Palermo dalle società televisive riferibili a Berlusconi, secondo una dinamica tanto consolidata che Riina, conversando con suo compagno detenzione, si compiaceva di tale periodicità semestrale per dei soldi che, a suo modo di dire, spettavano Cosa Nostra”. Nel 1994 Berlusconi era già presidente del consiglio: dalle sue aziende continuavano a uscire soldi in direzione di Cosa nostra.