Dalla mia torre d’avorio osservo con divertito distacco le baruffe relative alle prossime elezioni e quello che mi colpisce è come – anche con una certa supponenza e certezza – le formazioni politiche e gli stessi partiti parlino di sinistra e di destra, come se fossero concetti oggettivi. E i media di conseguenza.
In realtà c’è una grande confusione sotto il cielo. Dire sinistra e destra non è come dire maschio e femmina o viceversa (ovvio). Io sono assolutamente certo che se si chiedesse ad un uomo politico o ad un uomo della strada di individuare sinistra e destra ognuno darebbe la sua definizione. Per puro esempio, io sono nato e cresciuto in una famiglia che si definiva di sinistra. Mio padre leggeva l’Espresso ed essere di sinistra negli anni Sessanta significava essere o stare dalla parte del proletariato, il quale proletariato doveva permettersi l’alloggio in proprietà e anche l’auto: magari col mutuo il primo e a rate la seconda. Ma quella stessa sinistra che veniva ampiamente votata e sostenuta in Liguria era quella che dei contadini se ne fregava, che rendeva fabbricabile tutto il suo territorio fronte mare: era quella che permetteva all’Enel di costruire la centrale a carbone nella valle di Vado, con tutto quello che ne sarebbe conseguito in termini di inquinamento, cambiamento del clima e morti (forse anche mio padre).
Quella era la sinistra, per la quale contava solo il lavoro purchessia, purché ben retribuito, con tutti i diritti conseguenti. Il resto contava zero. L’ambiente? Fanfaluche. I beni comuni? Belinate (siamo in Liguria…). Erano il Pci (anche quello di Berlinguer, s’intende), il Psi, e compagnia cantante, ivi compresa la sinistra extraparlamentare. Sono passati i decenni, abbiamo addirittura un nuovo millennio, e i partiti sedicenti di sinistra (anche se oggi si ha un po’ di timore a pronunciare il termine) sono cambiati, in peggio: di male in peggio.
Oggi quelli che si definiscono di sinistra o progressisti sono votati non più dal proletariato ma dai ceti abbienti, e fanno una politica consequenziale, ben diversa dagli anni Sessanta, ma pur sempre “di sinistra”. Aumento del distacco fra ricchi e poveri, l’elemosina a questi ultimi con il reddito di cittadinanza, una certa simpatia per i diversi (ma chiusura verso gli immigrati) e per il resto assoluto disinteresse, in particolare per quello che fa vivere l’uomo: il suolo, l’aria, l’acqua. Leggermente diversi i partiti di destra, ma neanche troppo: sì, magari uno stato più autoritario, qualche Ponte sullo Stretto in più, una certa intolleranza verso i diversi, ma per i temi che contano davvero, che fanno vivere, uguaglianza assoluta.
Dopodiché, ripeto, mi piacerebbe intervistare l’uomo della strada: “scusi, lei è di sinistra? Sì? E cosa vuol dire essere di sinistra?”. Sarebbe divertente ascoltare le risposte, ma non mi risulta che nessun giornalista si sia mai avventurato in questo campo: forse è scomodo… Se ne evince che, in modo alquanto singolare, si parla di un qualcosa di cui non si conosce il significato. Un po’ come nella vignetta del mitico Altan, il bimbo che si rivolge al padre: “Cos’è la sinistra, babbo?”. Risposta: “Dipende se sei mancino o no”.