Dal Partito della Follia alla svolta (pseudo) ‘pacifista’ di Antonio Pappalardo, passando per la diaspora dei partiti centristi. E poi ancora le falci e martello che resistono, gli ultimi ‘democristiani’ alla Clemente Mastella, il sempre presente ‘Sacro Romano Impero‘. Tutti insieme ai partiti maggiori, con Roberto Calderoli per la Lega pronto in prima fila dalle prime ore del mattino. Perché chi prima deposita, se il simbolo sarà alla fine ammesso, troverà nella scheda elettorale il proprio contrassegno più in alto. È così partita al Viminale la corsa per la consegna dei simboli elettorali, in vista delle Politiche del prossimo 25 settembre.
A tagliare il traguardo per primo è stato però il Partito Liberale italiano di Stefano De Luca, seguito dal Maie e dalla stessa lista del Sacro Romano Impero di Mirella Cece. “Eravamo arrivati primi, ma abbiamo ceduto il posto perché vogliamo essere terzi. Così avremo la protezione del Signore, la Trinità”, rivendica. C’è chi si è messo in fila fin dal giorno prima, come gli stessi liberali: “Oggi tutti si dicono tali, ma noi siamo gli unici storici”, ci tiene a precisare Giulia Pantaleo. E poi c’è chi, come Antonio Pappalardo, dopo aver cavalcato durante la pandemia le proteste di No vax e No Green pass, così come l’estrema destra, ora si autoproclama ‘pacifista’ con i suoi ‘Gilet arancioni‘: “Siete voi giornalisti che mi avevate etichettato ‘col fucile’, ma vedrete, quando sarò in Parlamento ci saranno sorprese. Voi siete bugiardi, venduti al regime”, minaccia, al di là dello sbandierato pacifismo.
Ma al Viminale è la giornata di tanti simboli minori. E, in una stagione di astensionismo e sfiducia, molti sembrano tornare a cavalcare l’antipolitica. Compreso il Partito della Follia che a sua volta – “forse paradossalmente”, sottolinea – propone “la multa al politico che sbaglia“. Altri, come il gruppo politico ‘Free‘, presentano invece il proprio simbolo nero con disegnata la sagoma della testa di un ‘Pinocchio’ presa simbolicamente a calci. “Sceglieranno i cittadini che nome dargli”. E non mancano nemmeno gli attacchi incrociati tra chi, qualora riuscirà a depositare firme, liste e presentarsi davvero alle elezioni, pescherà nello stesso elettorato. “Renzi e Calenda? Non vinceranno nemmeno un collegio uninominale e si divideranno un minuto dopo il voto”, è la profezia del sindaco di Benevento, Clemente Mastella. Mentre è il vicesegretario di Azione, Andrea Mazziotti di Celso, a puntare in alto, nonostante le capriole del suo leader Carlo Calenda, finito per allearsi con Matteo Renzi e Italia Viva dopo aver proclamato per mesi il contrario: “Puntiamo alla doppia cifra”.
Immancabile, c’è poi l’atomizzazione nel mondo della sinistra radicale, comunista e post comunista. Se Prc e Potere al Popolo si presenteranno con De Magistris insieme nella lista di Unione Popolare, ad attaccarli, dal Viminale, sono Partito comunista dei lavoratori e Pci, a loro volta divisi e con il problema delle firme da raccogliere. “Ci proveremo, ma noi non volevamo nascondere il simbolo, che racconta la storia di questo Paese e dei lavoratori”, rivendicano dal Pci. Mentre dal Pcl attaccano il capo politico di Up, Luigi De Magistris: “Che c’entra lui con il Comunismo? C’entra come lo Zar di tutte le Russie con il Bolscevismo!”.
“L’Italia deve riflettere, ha grandi risorse di follia…”, c’è chi rivendica dalla piazza. Più che un auspicio, sembra già una certezza.
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