Uno sterminio nell’unità di tempo (110mila morti all’istante) tanto intenso si è verificato ad opera umana solo 77 anni fa, alla conclusione della seconda guerra mondiale, con l’inutile (oserei dire “gratuito”, ma anche questo termine lacera ogni coscienza) massacro di due popolazioni giapponesi ormai vinte, quasi a marchiare quanto il ricorso al nucleare trascenda la convivenza e possa avere a destino, a questo punto, perfino la fine del nostro mondo. Eppure, non solo i governanti, ma la stessa opinione pubblica mondiale continua a sottovalutare, se non addirittura a ignorare, la minaccia atomica.

La guerra in Ucraina oggi ripropone d’attualità questo rischio efferato. Il territorio di quel Paese è disseminato di 15 reattori nucleari. A Zaporizhzhia, sulle rive del fiume Dnepr e in piena zona di guerra, è in funzione l’impianto nucleare di maggior potenza in Europa con ben sei reattori da 950 MWe ciascuno.

E’ noto come le centrali nucleari siano tra le installazioni più complesse e soggette a rischio. Per mantenerle operative e al riparo da danni dovute alle reazioni radioattive incontrollate, occorre che le garanzie – necessariamente sovrabbondanti – previste in fase di progettazione degli impianti vengano mantenute inalterate in tutte le fasi di operatività e in qualsiasi condizione. A Zaporizhzhia la guerra in corso non solo lambisce la centrale, ma rende del tutto precaria la disponibilità di risorse in grado di contrastare un incidente catastrofico.

Una centrale nucleare operativa richiede in ogni momento la fornitura di elettricità alle pompe di alimentazione e la fornitura di acqua adeguate per raffreddare il combustibile nucleare, sia nel reattore che nell’adiacente vasca di combustibile nucleare esaurito. Sia una eventuale fusione del nocciolo, sia la reazione chimica altamente esotermica nella vasca provocherebbero il rilascio di un volume molto elevato e micidiale di radioattività. E’ quanto è già avvenuto a Fukushima, dove vi è stata sì fusione del nocciolo, ma, casualmente e fortunatamente, la vasca è rimasta coperta da un sufficiente strato d’acqua in ebollizione, evitando che l’incidente fosse ancora più spaventoso.

In una guerra come l’attuale condotta da mesi a colpi di artiglieria pesante e a lanci di missili e con il rifornimento continuo di armi sempre più micidiali, una centrale nucleare è molto vulnerabile a un’interruzione dei sistemi di supporto, sia di energia elettrica, sia di acqua di raffreddamento: in tal caso, centinaia di lavoratori e mezzi speciali a soccorso dovrebbero poter raggiungere l’impianto da vicino: il che, evidentemente, non è fattibile in circostanze belliche. Ogni interruzione tecnica, per qualsiasi motivo, potrebbe richiedere un’importante operazione logistica a livello nazionale che sarebbe gravemente compromessa dalle esplosioni intorno alla centrale.

Lo spettro di gravi rischi per la più grande centrale nucleare d’Europa è diventato nelle ultime settimane purtroppo molto attuale. E non riguarda solo il danneggiamento e la fusione delle barre di uranio, ma la struttura di stoccaggio di combustibile esaurito (2.204 tonnellate secondo uno studio di Greenpeace). Il Consiglio di Sicurezza Onu dell’11 agosto ha condannato i bombardamenti avvenuti venerdì e sabato nei pressi della centrale e Guterres ha chiesto “alle forze armate della Federazione Russa e dell’Ucraina di interrompere immediatamente qualsiasi operazione militare”, mentre continua lo scaricabarile tra Mosca e Kiev sulla responsabilità degli attacchi.

A chiedere un incontro urgente al Palazzo di Vetro sull’incolumità del sito era stata proprio la delegazione russa guidata dall’ambasciatore Vasilij Nebenzja, che ha inoltre sollecitato una missione dell’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica) presso l’impianto nel più breve tempo possibile.

Ora c’è da chiedersi: chi tra i belligeranti (Ucraina e Russia) ha diritto di lanciare accuse su un possibile responsabilità di disastro nucleare in seguito ad operazioni belliche? La centrale è da tempo condotta da tecnici russi che hanno sostituito il personale ucraino per “assicurare maggiore protezione”. Mi risulterebbe strano dal punto di vista strategico o semplicemente razionale assumere un compito e poi renderlo vano consapevolmente con rischi tutt’altro che improbabili di una estensione del disastro ben al di là degli occupanti (russi!) e delle regioni limitrofe ucraine, del Donbass ed oltre. Viene poco ricordato come l’impianto fornisca energia non solo alle zone “filorusse”, ma anche alla Crimea e che quindi l’occupazione abbia un po’ il senso di una “preda di guerra” da scambiare, arrivati alla augurabile cessazione del fuoco, sul tavolo delle trattative.

Ma la questione, terrificante per la sua portata catastrofica, non si limita alle parti in conflitto diretto: sono spariti dall’orizzonte della discussione la voce e l’interesse di Francia e Germania, che pure avevano mantenuto relazioni d’appoggio alle agenzie russe produttrici di materiale fissile nella trattativa Ue per la tassonomia verde affibbiata anche a gas e uranio. Forse il relativo silenzio su Zaporizhzhia fa parte di una intesa generale per il rilancio del nucleare, a cui non si sono sottratti nemmeno gli Stati Uniti, che non hanno applicato alcuna sanzione alle esportazioni di materiale fissile fuori dalla Federazione russa.

Dobbiamo sollevare un grande allarme: un paese nucleare è in guerra, altri parlano di atomiche tattiche, negli Usa tornano i filmati del terrore post-atomico, centrali nucleari sono sulla linea di tiro. I negoziati per il disarmo non hanno fatto passi avanti e la guerra ucraina ha creato l’occasione per rimettere sul tavolo l’idea che testate nucleari “piccole” potrebbero essere usate al fronte. Pura follia, ovviamente, mentre ci sono leader mondiali che parlano di questo argomento in modo approssimativo e irresponsabile, senza considerare l’effetto devastante e permanente – “transtorico”, direi – che l’uso di testate nucleari avrebbe sulla popolazione e sulla vita dell’ambiente.

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