Nelle settimane che hanno preceduto il 15 agosto 2021, gli occhi e le telecamere di tutto il mondo erano puntati su quella massa informe composta da migliaia di teste di donne, uomini e bambini all’aeroporto di Kabul. Erano lì in cerca di un’altra vita, lontana dal caos nel quale stava precipitando il loro Paese. Le tv trasmettevano le immagini di persone accalcate dentro i canali di scolo, mentre nel centro città i pick-up degli islamisti sfilavano sventolando la bandiera bianca con impressa la shahādah e i check point militari venivano sostituiti da quelli dei miliziani barbuti, in abiti tradizionali e sneakers. I gruppi islamisti anti-talebani sferravano i loro attacchi sanguinosi a favor di telecamera, contro civili, miliziani e militari occidentali in fuga. È passato un anno dalla presa del potere dei Taliban in Afghanistan, oggi gli eserciti stranieri non ci sono più, le basi sono state abbandonate in fretta e furia e anche il numero di reporter e telecamere è diminuito col passare dei mesi, attirati dal conflitto in Ucraina. Il nuovo Emirato Islamico dell’Afghanistan, nelle dichiarazioni degli uomini fedeli all’Amir al-Mu’minin, la guida spirituale mullah Hibatullah Akhundzada, avrebbe dovuto riportare sicurezza dove vigeva il terrore, stabilità dove imperversava il caos e giustizia dove governava l’anarchia. A un anno da quelle promesse, però, l’Afghanistan è un Paese che sta precipitando nel baratro. Il blocco dei fondi da parte delle banche americane e lo stop agli aiuti internazionali, principale fonte di entrate del Paese, hanno ridotto la popolazione allo stremo, facendo dilagare fame e povertà. La promessa di maggior sicurezza e stabilità degli Studenti coranici ha dovuto fare i conti con una lunga serie di attentati, in particolare nei confronti delle minoranze del Paese, mentre l’oscurantismo islamista è tornato a dettare legge, accanendosi, come spesso è successo, su donne e bambine.
Oggi, le immagini che raccontano l’Afghanistan sono quelle delle tendopoli di fortuna comparse nei giardini e nelle piazze delle principali città del Paese, soprattutto a Kabul, quelle delle centinaia di tossicodipendenti rastrellati per le strade e lasciati a marcire nelle prigioni dell’Emirato. Un’altra immagine, o meglio un colore, che racconta il nuovo Afghanistan segna in realtà un filo conduttore col passato: è il rosso del sangue che continua a imbrattare le strade da Kabul a Herat, da Kandahar a Mazar-i-Sharif. Sangue versato sempre più spesso dai civili. C’è però anche un altro colore che caratterizza la nuova stagione dell’Afghanistan sotto il governo talebano: il blu. È il colore del burqa afghano, l’oggetto diventato il simbolo dell’oppressione del fanatismo islamista che torna a riempire, senza essere mai veramente sparito, le strade delle città afghane.
LA VERSIONE INTEGRALE DELL’ARTICOLO SU FQMILLENNIUM IN EDICOLA