In America e in tante altre parti del mondo è noto da tempo per le sue carni prelibate, in Italia invece i pescatori erano soliti scartarlo. Adesso il suo valore è riconosciuto e apprezzato anche da noi ma c’è un problema: il granchio blu sta letteralmente invadendo i mari italiani e se, da una parte, potrebbe garantire lauti guadagni ai pescatori; dall’altra rischia di arrecare danni all’ecosistema marino. Il Callinectes sapidus, questo il nome di questo crostaceo meglio noto come “granchio blu” per il colore delle sue chele, è infatti una specie esotica altamente vorace, in grado di mangiare grandi quantità di pesci, altri granchi ma anche molluschi come cozze e vongole. Per questo la sua presenza sempre più copiosa nelle acque dell’Adriatico ma anche del Tirreno rischia di diventare una minaccia per la biodiversità delle coste italiane.
Originario dell’Argentina, il granchio blu è arrivato in Europa, in particolare in Grecia, nei primi del ‘900 ma negli ultimi anni, complice anche il surriscaldamento dei mari, si è riprodotto in gran numero, insediandosi in particolare nei fondali sabbiosi dove si mischiano anche le acque dolci, come in corrispondenza della foce del Po nelle Valli di Comacchio, alla foce del Tevere o nella laguna di Grado. Questi crostacei possono essere larghi fino a 23 centimetri e lunghi 15, per questo spesso si impigliano nelle reti dei pescatori e lì fanno razzia dei pesci pescati. Al momento, l’unica soluzione per tenere sotto controllo la sua presenza nei nostri mari è appunto la pesca: visto l’elevato valore, tra i 100 e i 150 euro al chilo, questo crostaceo potrebbe rappresentare una miniera d’oro per i pescatori, anche se non è ancora così conosciuto sulle tavole come negli Stati Uniti.