Per raggiungere la sovrapposizione perfetta ci sono voluti quattro secoli. Perché ormai Siena e il suo Palio sono diventati praticamente sinonimi. Una parte per il tutto, in una sineddoche pericolosa. La carriera di Piazza del Campo si è trasformata in una lente distorta con cui si è provato in tutti i modi a comprendere una città intera. E il risultato non è stato esattamente dei più esaltanti. Perché si è finito col mettere in piedi un generatore di stereotipi. Merito anche della sua natura ossimorica. Il Palio è un arcaismo che per rimanere uguale a se stesso è stato costretto a seguire i mutamenti della società. Attrae e repelle, unisce e divide, sollazza e ferisce. È qualcosa di noto e incompreso al tempo stesso. Colpa anche di un paradosso. Perché il suo punto di forza può essere letto anche come il suo punto debole. La sua essenza è chiara. Ma solo a chi vive e frequenta la città. Per chi è fuori rischia di essere una lingua incomprensibile.
“C’è una sola cosa che un non senese deve evitare di fare se vuole capire il Palio – ci dice Duccio Balestracci, già professore ordinario di Storia Medievale all’Università di Siena – ed è venire in città nel giorno del Palio. Non verrebbe a capo di nulla, vedrebbe solo confusione“. Per questo il punto di partenza di ogni analisi non può che essere accademico. “Prima di tutto c’è un elemento che rende il Palio diverso da qualsiasi altra competizione sportiva – spiega Fabio Mugnaini, professore di Antropologia all’Università di Siena – La carriera non è retta da nessuno dei principi che hanno portato alla nascita dello sport olimpico“. Niente amicizia fra i popoli. Niente fair play. Niente lealtà. Anzi, il Palio è la negazione stessa degli ideali di De Coubertin. L’importante non è partecipare, ma vincere. O quanto meno fare in modo che a perdere sia la contrada rivale. Anche a costo di sabotarla. Anche a costo di ostacolarla sul tufo. Per questo la storia del Palio è un ordito complesso, un continuo intreccio di complotti e tradimenti, di amicizie indissolubili che in una frazione di secondo si trasformano in rivalità inestinguibili.
L’altro elemento caratterizzante può essere letto in controluce nel suo atto di nascita. Il tempo libero è un’idea estranea al Medioevo. Esiste solo il concetto di festa. Ed è qualcosa di ottriato, elargito dall’autorità, uno strumento mimetico per il potere. Perché consente di trasformare valori imposti in valori condivisi. Il Palio ha sovvertito questo schema. È una festa che si è imposta dal basso e che è stata portata avanti dalle contrade, che ne sono diventate forza propulsiva e garanzia di continuità. Il risultato sono quattro giorni che non possono essere incastrati all’interno di uno steccato rigido. “Si corre in onore di due Madonne, quella del Provenzano e quella Assunta, ma non è una festa che celebra un Santo Patrono – continua il professor Mugnaini – Non si può dire che sia una manifestazione religiosa, perché il culto è solo un ingrediente della festa. Ma non si può dire neanche che sia una rievocazione storica, perché non vuole essere un tuffo nel Medioevo. Basti pensare che fino a un secolo fa la Passeggiata Storica si svolgeva con i costumi di ispirazione spagnola”.
Non nella religione, non nei riecheggiamenti medievali, non nella saldatura con il potere. L’elemento caratterizzante del Palio deve essere cercato altrove. Magari passando al microscopio le cellule più piccole della società. “Siamo davanti a qualcosa che è al di fuori dell’etica del confronto borghese, educato, civile – aggiunte il professore – È un fenomeno che ci porta in una civiltà complessa che a Siena si è costruita in una situazione di contrasto ed equilibrio fra contrade, che possono essere considerate delle piccole democrazie di stampo classico”. Per capire il Palio, dunque, bisogna capire cosa rappresentano (ancora oggi) le contrade. “All’inizio sono state considerate delle associazioni spontanee, ma controllate e controllabili, che avevano in gestione una posizione di territorio. Organismi che possiamo definire non ‘confraternali’, ma ‘confraternizzati'”, ci dice ancora Balestracci. I loro compiti avevano a che fare con la sfera più essenziale del vivere in comune. Tenevano d’occhio i personaggi loschi, si assicuravano che l’acqua fosse presente nei pozzi, monitoravano lo stato delle strade. Poi con il tempo le loro competenze sono aumentate: celebravano offici religiosi, si autosostentavano con le donazioni della gente della contrada, offrivano conforto religioso e materiale ai contradaioli stessi, difendono i riti in suffragio delle anime del Purgatorio.
“Solo in un secondo momento – aggiunge Balestracci – su queste competenze va innestandosi anche un elemento ludico e performativo”. La rivalità fra contrade è il sale del Palio, ma è anche il suo elemento più fraintendibile. Perché il rischio che si corre è quello di dipingere una città dilaniata da odi intestini e guerre permanenti. Colpa anche di una narrazione che viene da (molto) lontano e che cerca di travasare nel presente divisioni e asprezze risalenti al Cinquecento. Oggi infatti la situazione è molto diversa. L’odio fra contrade è più retorico che pratico. Arde e si esaurisce come una fiammata nei quattro giorni della carriera. “L’espressione ‘A Siena il Palio dura tutto un anno’ deve essere disambiguata – dice Balestracci – altrimenti si dà vita a una visione oleografica e stereotipata. Ciò che dura tutto l’anno è la vita di contrada intesa come socialità, come attitudine a farsi carico del territorio, di chi non ce la fa. In contrada si parla di attualità, si discute sul futuro della città, si afferma il principio che io valgo come un qualsiasi altro contradaiolo”. In verità questo sistema di divisioni microterritoriali ha finito per moltiplicare uno spirito di solidarietà cittadina. È come se il prendersi cura del proprio rione diventasse la premessa per prendersi cura della città intera.
Nel dicembre del 2020, infatti, i capitani e i priori di tutte le 17 contrade, insieme ai fantini, hanno deciso di regalare un ecografo portatile all’UOC Anestesia e Rianimazione post-operatoria dell’Azienda ospedaliera-universitaria Senese, in modo da aiutare l’ospedale a contrastare l’emergenza Covid. Iniziative analoghe sono state portate avanti nel corso degli anni per aiutare senesi bisognosi di cure mediche, per offrire sostegno psicologico a che era chiuso a casa durante la pandemia, per promuovere donazioni del sangue, per restaurare monumenti cittadini. A chi le guarda da fuori, dunque, le contrade appaiono come un organismo complesso che tiene insieme elementi di volontariato, di scoutismo e associazionismo. Entità liquide che riescono coinvolgere generazioni diverse che spaziano dai bambini agli anziani.
Ora però questa convivenza armoniosa è stata messa a dura prova. E non solo dalla pandemia. A minacciare il meccanismo ci sta pensando la forza centripeta dei quattrini altrui. “Il centro della città è uno dei più appetiti per il turismo internazionale – dice ancora Mugnaini – c’è un movimento espulsivo. Comprare una casa in centro non è più fattibile per i cittadini. E chi già ce l’ha ragiona se metterla a reddito. Significa allentare quel legame fra contrada e territorio”. L’ultimo elemento su cui vale la pena soffermarsi è riguarda il concetto di confronto fra contrade. “I senesi dicono che il Palio non è uno sport ma è uno specchio della vita – dice il professor Mugnaini – e la violenza fa parte della vita. Qui si tratta di una violenza performata, quasi esibita e recitata. È qualcosa che si avvicina al wrestling. Quando partono queste risse si ha una scrematura quasi automatica e in prima fila ci vanno quelli che hanno il compito di difendere l’onore della contrada. Quando inizia la gragnolata di cazzotti c’è un effetto quasi ridicolo. Perché non è un è come una rissa da bar, non si lasciano mai persone a terra. L’idea è difendere onore, non lasciare persone a terra”. Forse è per questo che il Palio resta ancora oggi un abbacinante mistero.