Nelle grandi università, uno dei primi principi della democrazia che gli studenti di politica imparano è l’alternanza di governo. I partiti si avvicendano nella direzione della nazione. Naturalmente il modello classico è quello anglosassone, dove Conservatori e Laburisti o Repubblicani e Democratici americani costituiscono i due blocchi partitici principali. Ciò significa che governi di coalizione sono rarissimi, si governa da soli, e se la maggioranza è scarsa si negoziano legislazioni e cambiamenti con l’opposizione. L’elettorato premia o punisce, a seconda dei risultati, il partito al governo. Sia i Laburisti che i Conservatori hanno avuto lunghi periodi al potere, lo stesso vale per i Democratici e Repubblicani americani.

Questo modello in Italia non esiste, per una serie di motivi storici, costituzionali e direi anche caratteriali, in Italia i due blocchi non si sono mai formati. Un tempo esistevano la Democrazia Cristiana e il partito Comunista, che ottenevano la maggior parte dei voti, ma alla loro destra e sinistra c’erano sempre tanti partitini. All’interno della Democrazia Cristiana esistevano le correnti, veri pseudo-partiti con idee e visoni completamente diverse dalla linea ufficiale del partito. Anche nell’area comunista c’erano dissensi ma non si concretizzavano in correnti, piuttosto potevano sfociare nella creazione di partiti extraparlamentari o addirittura nuovi partiti. La disciplina partica non ha mai funzionato per gli italiani. Questo chiamiamolo il nostro “vizietto” politico.

La costante creazione e distruzione di veicoli politici, dalle correnti democristiane fino alla nebulosa extraparlamentare, ha spesso confuso le carte in tavola e creato la possibilità di reinventare la storia. Questo continuo riciclaggio politico, anima del trasformismo, costituisce le fondamenta dello stato italiano. Da Cavour con la sua spedizione dei Mille, fino a Di Maio con il suo partitino della poltrona, la politica in Italia non ha memoria. Lungi dal giudicare che questo sia o sia stato un bene o un male per una nazione come l’Italia, nata tardissimo da un collage di entità politiche distinte, è però vero che ormai il riciclaggio del presente è arrivato a livelli talmente estremi da diventare un insulto all’intelligenza dell’elettorato. E questo non va bene, perché significa che non si temono più le urne, un fenomeno che instilla deliri di onnipotenza pericolosissimi in politica.

Durante questa campagna elettorale estiva se ne vedono tante, troppe. Prendiamo Carlo Calenda che dopo aver fatto il giro delle chiese finisce dall’odiato Matteo Renzi per motivi strettamente matematici. Ed ecco cosa diceva in passato di Matteo. Ma anche Giuseppe Conte, quando dichiara che la Meloni va a Washington a prendere ordini, dimentica che nelle sue due legislature non solo ha governato con praticamente tutti i partiti dello schieramento parlamentare fatta eccezione della Meloni, naturalmente, ma che ha preferito appoggiare il governo Draghi che andare alle elezioni, quello che voleva Washington e Bruxelles. Con Draghi ha votato a favore delle armi in Ucraina, delle sanzioni contro la Russia (motivo della massiccia crisi energetica che sta arrivando), e dell’allargamento della Nato, tutte politiche promosse dagli Usa. E anche Conte si è comportato come un bravo democristiano lavorando di trasformismo.

Impossibile prevedere i risultati delle elezioni, ma un paio di riflessioni si possono fare: il riciclaggio del presente e il trasformismo forse andavano bene per una nazione collage, ma oggi sono tattiche politiche obsolete; la deglobalizzazione richiede politiche innovative e di rottura per proteggere le nazioni ricche dal colpo di coda dei mercati emergenti; la stagflazione e il conseguente impoverimento delle classi medie deve essere affrontato subito, con politiche monetarie strutturali rapide ed efficaci, non con le promesse di aiuti strangolati dalla burocrazia di Bruxelles. L’instabilità sociale derivante da questi scenari potrà essere contenuta solo da ideologie di grande impatto e principi solidi, e il M5S se li è persi tutti per strada. La memoria in questo contesto sarà un’arma positiva perché metro di comparazione tra il passato e il presente.

Dunque, la coerenza verrà premiata e ne abbiamo già la conferma con le proiezioni del partito di Giorgia Meloni. Forse è davvero arrivata l’ora di perdere il “vizietto” politico.

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