Quest’anno, a dicembre compirà sessant’anni un capolavoro della cinematografia italiana, Il sorpasso, diretto da Dino Risi con gli indimenticabili amici per caso Vittorio Gassman (l’adulto Bruno) e Jean Luis Trintignant (il giovane Roberto). Se ne parla ad agosto perché il film è ambientato il 15 agosto 1962. A chi non ha avuto la fortuna di vederlo, se ne raccomanda caldamente la visione perché è una pellicola che racconta magistralmente l’Italia di quel periodo. Le sequenze iniziali sono costruite con i campi lunghi dei nuovi quartieri residenziali che mettono in evidenza la città deserta a Ferragosto (“Roma me pare un cimitero” – dirà Bruno). Il viaggio si snoda dapprima verso la campagna, poi sulla dorsale tirrenica da Castiglioncello fino all’alta Toscana.
La fotografia in bianco e nero restituisce la luce calda e bianca del solleone, la faccia abbronzata dello sbragone e sfaccendato Bruno, la carnagione chiara del timido studente di giurisprudenza Roberto. L’asfalto nero, l’auto bianca, il catrame appena steso e la lamiera scintillante della Lancia Aprilia B24 coupé, per correre all’aria aperta. È un Italia che guarda al progresso, ma ha ancora un’anima contadina sulla quale cala il disprezzo per il lavoro della terra (e per il lavoro in generale) da parte di Bruno: “anvedi quello cor cappello che articolo, magari s’è già fatto otto ore de zappa”. Né manca l’altra faccia del mondo contadino, con le asperità reazionarie del proprietario terriero rappresentato dall’avvocato Alfredo.
È su Bruno che sono costruite le battute più irridenti, perfettamente incastonate nella psicologia del personaggio:
A me Modugno mi piace sempre, questo “Uomo in frac” me fa impazzi’, perché pare ‘na cosa de niente e invece c’è tutto: la solitudine, l’incomunicabilità, poi quell’altra cosa, quella che va di moda oggi… la… l’alienazione, come nei film di Antonioni. Hai visto “L’eclisse”? Io c’ho dormito, ‘na bella pennichella…
Il titolo del film Il sorpasso incarna la sfrontatezza dello spericolato Bruno, un truffaldino squattrinato che vive di espedienti, e chiede strada, anche nelle carreggiate più strette, con il suo roboante clacson:
Roberto: Sembra di essere in Inghilterra.
Bruno: Perché? Per la campagna?
Roberto: No, viaggiamo sempre sulla sinistra!
Non soltanto si procede contromano, ma è tutta la figura di Bruno costruita a rovescio, un uomo che non si è costruito nulla, incapace di crescere e non si accorge che una ragazzina con la parrucca inseguita sulla spiaggia è sua figlia. Il sorpasso si inserisce come metafora di un Paese attratto dalle opportunità di ricchezza, ma che non è disponibile a sacrificarsi per raggiungerla, con un evidente fastidio di tutto ciò che suona a regola. L’Italia nel 1962 si trova in pieno boom economico, una fase di espansione che porterà anche a un cambiamento antropologico delle persone. Proprio in quell’anno, il ministro del Bilancio, il repubblicano Giorgio La Malfa, stende un’interessante Nota aggiuntiva al bilancio dello Stato nella quale constata la latitanza dello Stato dinanzi allo squilibrato sviluppo del Paese richiamando la necessità della programmazione economica. Una volontà politica minoritaria, lo spirito della maggioranza lo incarna prosaicamente Bruno quando, nel finale, dice al suo compagno: “Bravo, come piace a me. Senza programmi”.
Sono anche gli anni ruggenti del cinema italiano che sopravanza nelle quote di mercato la cinematografia statunitense. Ci sono autori che hanno molto da dire e i nostri migliori cineasti (Dino Risi, Mario Monicelli, Pietro Germi), attraverso la commedia, riescono a raccontare le pieghe profonde della società mantenendo un’apprezzabile fluidità narrativa che conferisce una gradevolezza, quasi senza tempo, a queste opere suggellando anche il successo internazionale di un genere che verrà chiamato commedia all’italiana. Il sorpasso rientra fra questi classici perché il contorno umano che anima il viaggio è costruito su diversi e reali profili sociali: la strafottenza dell’industriale, l’uomo maturo che compra l’amore di una giovane ragazza, l’egoismo nella latitanza di scrupoli etici e l’immancabile patina di perbenismo da mettere in sintonia con la nuova ricchezza. Sembra quasi che ci si possa soltanto divertire: “Bruno, ho passato con te i due giorni più belli della mia vita”. La corsa sfrenata prosegue, tra derapate e accelerazioni fino ai 160 orari finché, nell’impossibile sorpasso di un altro autista scorretto, si profila la tragedia.