"Sarà dura far credere di perseguire l'agenda Draghi senza la partecipazione del tecnocrate", si legge in un'analisi di Bloomberg ospitata dal quotidiano Usa. "Draghi stesso non ha intenzione di ricoprire il ruolo del salvatore in questo dramma. Chi spera che l'uomo che ha salvato l'euro entrerà nella campagna elettorale per deciderne il risultato resterà deluso: non lo farà. Non vuole che il suo nome sia sfruttato nel gioco elettorale in corso"
“Per il Partito democratico sarà impossibile fare Draghi senza Draghi. Sarà dura far credere di perseguire l’agenda Draghi senza la partecipazione del tecnocrate. Il lavoro di Draghi è finito e i politici lo sanno. Giorgia Meloni avrà un programma vago su quasi tutto, ma la sua è la voce che grida più forte chiedendo più libertà e meno Stato. Per essere competitivo, il partito di Letta deve fare di più che ripetere Draghi, Draghi, Draghi”. L’impietosa analisi che stronca la strategia del Pd viene da Bloomberg, ed è stata ospitata nei giorni sulle colonne del Washington Post sotto il titolo “Draghi non arriverà più a salvare l’Italia”. “La politica italiana somiglia da vicino alle telenovelas sudamericane: è piena di amori non corrisposti, strani accoppiamenti e separazioni multiple”, scrive la corrispondente Maria Tadeo. “Le linee narrative raggiungono un picco di crisi prima che un’inaspettata svolta degli eventi metta tutto a posto: il momento del deus ex machina“.
“La sinistra italiana, guidata dal Partito democratico, spera in un deus ex machina dopo l’improvviso addio di un alleato centrista appena quattro giorni dopo l’accordo per unire le forze contro la destra”, prosegue l’articolo. “Ma chi farà la parte di Dio? Il partito scommette sull’aura sacrale di Mario Draghi. Il problema? Draghi stesso non ha intenzione di ricoprire il ruolo del salvatore in questo dramma. Chi spera che l’uomo che ha salvato l’euro entrerà nella campagna elettorale per deciderne il risultato resterà deluso: non lo farà. Nel suo periodo in carica ha messo in chiaro che stava adempiendo a uno specifico mandato, per il quale era stato nominato, non eletto. (…) Non vuole che il suo nome sia trascinato nel fango. E non vuole che sia sfruttato nel gioco elettorale in corso”, ricorda l’autrice. E su Letta conclude: “Ha avuto il buon istinto di cercare una coalizione larga dai centristi alla sinsitra radicale. Ma il suo cosiddetto campo largo richiedeva così tanta flessibilità da parte di tutti che è arrivato al punto di rottura“.