Riforma dell’ordinamento giudiziario, separazione delle carriere, riforma del Csm, “giusto processo e ragionevole durata“, “stop ai processi mediatici e diritto alla buona fama“. Le promesse sulla giustizia nel programma della coalizione di centrodestra sembrano riciclate dagli slogan di una volta di Silvio Berlusconi, ossessionato dalla persecuzione giudiziaria, dalle toghe rosse e dagli scandali, che sognava una magistratura controllabile, giornalisti docili e leggi che gli garantissero l’impunità. Nel frattempo, però, c’è qualcuno che ha realizzato quelle promesse al posto suo: tutte le ambizioni proibite di B. si sono in pratica avverate grazie al governo di Mario Draghi. Nell’arco di poco più di un anno, la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha scritto e fatto approvare un trittico di leggi che, messe insieme, somigliano moltissimo all’agenda anti-giudici dell’uomo di Arcore: la riforma del processo penale che ha introdotto l’improcedibilità e consente al Parlamento di stabilire le priorità delle Procure; la riforma dell’ordinamento giudiziario che gerarchizza gli uffici penalizzando i magistrati più liberi e meno allineati; il decreto sulla “presunzione d’innocenza“ che impedisce ai pm di parlare con la stampa. E tutto senza l’ondata dell’indignazione dei giornali che in passato accompagnava proposte di riforme simili, presentate dai governi Berlusconi.
In particolare, la prima delle riforme Cartabia – quella sul processo penale varata nell’estate 2021 – ricorda una delle leggi-vergogna dell’ultimo governo Berlusconi: il ddl sul “processo breve” redatto nientemeno che da Niccolò Ghedini, storico avvocato dell’uomo di Arcore. Entrambi i testi infatti prevedono l’estinzione del processo (che quindi non può più andare avanti) al superamento di una certa durata temporale. Nel testo Cartabia il termine standard è di due anni per il giudizio d’Appello e uno per quello di Cassazione (prolungabili per alcuni gravi reati), mentre la riforma di Berlusconi, nella maggior parte dei casi, concedeva due anni per ogni grado di giudizio (compreso il primo). Nel caso della Cartabia, poi, è solo grazie all’opposizione del Movimento 5 stelle – e alle prese di posizione di alcuni magistrati in prima linea – se la riforma non rischierà di uccidere anche i processi per mafia, terrorismo, violenze sessuali e altre gravi fattispecie, per cui i termini, grazie alla mediazione trovata da Giuseppe Conte, potranno essere prorogati all’infinito. In ogni caso la riforma incarna appieno lo spirito della “ragionevole durata del processo” come intesa dal verbo berlusconiano: un sinonimo di “processo morto il prima possibile”. Tanto che al momento dell’approvazione gli azzurri avevano esultato in coro: “Archiviamo il fine processo mai e il più cieco giustizialismo”, diceva la capogruppo al Senato Anna Maria Bernini, parlando di “passo avanti decisivo”. Mentre il coordinatore Antonio Tajani celebrava “la sconfitta della riforma Bonafede (che interrompeva la prescrizione dopo la condanna in primo grado, ndr) e del giustizialismo del Movimento 5 stelle”.
Anche lo “stop ai processi mediatici e diritto alla buona fama”, come inteso dai berlusconiani, è un concetto che è diventato legge grazie all’esecutivo Draghi. Lo scorso novembre il governo ha varato un decreto legislativo che, con la scusa di recepire una direttiva europea sulla presunzione d’innocenza, impone pesanti restrizioni ai rapporti tra i magistrati e la stampa. Il testo prevede che i procuratori possano comunicare con i giornalisti “esclusivamente tramite comunicati ufficiali” oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa. Più a monte, “la diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre rilevanti ragioni di interesse pubblico” . Infine, c’è il “divieto di assegnare ai procedimenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza“. E se un magistrato non si adegua? Grazie alla riforma dell’ordinamento giudiziario approvata qualche mese più tardi, rischia sanzioni disciplinari che vanno dall’ammonimento alla censura fino alla radiazione. Norme che per il consigliere Csm ed ex pm antimafia Nino Di Matteo sono un “bavaglio che permette di parlare ai parenti di Riina e Provenzano, ma non a un procuratore o a un questore”. Mentre per sottosegretario berlusconiano alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto, un “significativo passo avanti verso il ripristino effettivo da sempre perseguito dal governo della vigenza dei principi fondamentali della Costituzione”.
Infine la separazione delle carriere tra giudici e pm, riproposta per l’ennesima volta nel programma del centrodestra: anche questo antico cavallo di battaglia, però, compare tra le norme volute dalla ministra del governo Draghi. La riforma dell’ordinamento giudiziario infatti prevede un limite drastico ai passaggi di funzioni tra giudici e pm: d’ora in poi sarà possibile esercitare questa facoltà una sola volta (al momento è possibile farlo per quattro volte) e il passaggio dovrà avvenire nei primi dieci anni di carriera. Di fatto si tratta di una separazione quasi totale tra i due ruoli. E in questo senso è diventato concreto anche il pericolo su cui l’Associazione nazionale magistrati ha sempre messo in guardia: il rischio che un pm separato dalla giurisdizione possa essere più facilmente controllato dall’esecutivo: nella riforma penale, infatti, si prevede tra l’altro che sia il Parlamento (e quindi la maggioranza politica del momento) a individuare i criteri per l’esercizio dell’azione penale, cioè quali notizie di reato le Procure dovranno trattare con precedenza. Non solo: nella riforma del Csm si prevede che ogni magistrato sia valutato con un “fascicolo sulla performance” e debba sottostare alle direttive dei capi degli uffici pena sanzioni disciplinari. Cartabia, insomma, ha realizzato riforme che Berlusconi e i suoi avvocati non si azzardavano nemmeno a proporre. Per dirla con Nino Di Matteo, “è incredibile che quel disegno si sia realizzato in un momento in cui al governo non c’è solo il centrodestra, ma una coalizione che arriva fino al Pd e ai 5Stelle, partiti e movimenti che avevano fatto del contrasto a questo tipo di riforme un loro cavallo di battaglia politica”.