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Attenzione alle “flebo facili” per il recupero negli sport di squadra, la denuncia dei medici: “Sono rischiose per la salute”

Nelle leghe europee e americane sta diventando sempre più frequente l'uso di preparati somministrati endovena per favorire il recupero dei giocatori dopo le prestazioni agonistiche. Un editoriale pubblicato sul British Journal of Sports Medicine chiede di porre un freno per evitare che "quello che in precedenza era un trattamento di ultima risorsa si normalizzi senza prove scientifiche di benefici"

Negli sportivi sta diventando sempre più frequente l’uso di preparati somministrati endovena per favorire il recupero dopo le prestazioni agonistiche. Secondo un gruppo di medici affiliati a diverse istituzioni universitarie e sportive, intervenuti sul British Journal of Sports Medicine, la pratica non ha prove concrete di efficacia e sicurezza. Inoltre, aumenta la medicalizzazione dell’attività sportiva. “Interagiamo regolarmente con i giocatori professionisti di sport di squadra nelle leghe europee e americane e le loro squadre di supporto multidisciplinari e siamo a conoscenza del fatto che i giocatori ricevono regolarmente prodotti per la nutrizione endovenosa“, denunciano gli autori dell’editoriale.

Le sostanze a cui si riferiscono sono prodotti a base di vitamine, elettroliti, aminoacidi e altri preparati che possono favorire il recupero. L’uso di quest’ultimi non è vietato. In genere, però, vengono usati nei casi di atleti sottoposti a stress eccezionali, per esempio una grave disidratazione dopo una maratona con condizioni climatiche estreme. Secondo i medici, tuttavia, la pratica si sta diffondendo anche nei contesti più ordinari. “I prodotti endovena sono spesso usati come mezzo per affrontare la stanchezza e l’affaticamento o per favorire il recupero, ma le prove sono scarse e non forniscono supporto”.

Si conoscono invece i rischi che possono derivare, soprattutto, dal sovradosaggio di alcune delle sostanze contenute nei preparati. A tal proposito gli autori invitano a mantenere un approccio ‘no-ago’ per evitare “che quello che in precedenza era un trattamento di ultima risorsa si normalizzi senza prove scientifiche di benefici”. La frequenza di utilizzo di queste sostanze da parte degli atleti non è nota, ma secondo alcune testimonianze, alcuni giocatori ricevono settimanalmente prodotti per la nutrizione endovenosa come parte di una routine pre e post-partita. I benefici permetterebbero di potenziare la salute e le prestazioni, ripristinare l’idratazione, accelerare il recupero e così via.

Ad oggi nella letteratura medico-sportiva non esistono indicazioni sulla possibilità di utilizzare queste flebo. Esse non sono menzionate nei paragrafi di consenso alla nutrizione, il che è coerente con il principio della riduzione dell’uso degli aghi nello sport e con l’approccio “prima il cibo” insegnato nei corsi di nutrizione sportiva in tutto il mondo. Il divieto di utilizzo di aghi da parte degli atleti, però, è attualmente in vigore ai Giochi Olimpici. Essi sono consentiti solo per gli atleti in possesso di un’esenzione per uso terapeutico (TUE). L’Agenzia mondiale antidoping vieta le infusioni endovenose superiori a 100 ml per 12 ore almeno che non sia stata ottenuta una TUE. Tuttavia, questi controlli non sono attivi in tutti i campionati sportivi

Sempre secondo i medici, per il futuro è necessario fare uno studio qualitativo utile a fornire maggiori informazioni sul perché gli atleti sono spinti a ricorrere a queste flebo. “Sarebbe opportuno promuovere strategie alternative per soddisfare le esigenze nutrizionali e di prestazione”, spiegano nell’editoriale. Infine, aggiungono, “i governi e le associazioni degli sportivi dovrebbero offrire più informazioni riguardo una pratica ancora sconosciuta ai più”.