Corsi e ricorsi nella politica berlusconiana. Il leader di Forza Italia, che poco meno di un anno fa ha incassato un’assoluzione in primo grado a Siena per uno degli stralci di Ruby, ritorna al passato quando parla di inappellabilità delle sentenze di assoluzione. Un passo indietro fino al 2006 quando fu approvata la legge Pecorella dal nome del relatore, Gaetano Pecorella, professore, nonché avvocato in tanti processi (nella foto processo Sme, 2003). Ma il 24 gennaio del 2007 i giudici della Consulta avevano dichiarato illegittimo l’articolo 1 della legge 20 febbraio 2006 numero 46 nella parte in cui escludeva che il pubblico ministero potesse proporre appello contro le sentenze di proscioglimento e dell’articolo 10 della stessa norma nella parte in cui prevedeva che fosse dichiarato inammissibile l’appello proposto dal pm contro una sentenza di proscioglimento. Secondo i giudici la legge era incompatibile con gli articoli 3 e 24 della Costituzione perché avrebbe consentito all’imputato di appellare contro le sentenze di condanna, “senza accordare al pubblico ministero lo speculare potere di proporre appello contro le sentenze assolutorie”. Mentre la legge fondamentale dello Stato tutela l’uguaglianza dei cittadini e l’inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento.

Per la Consulta risultava violata anche il precetto dell’articolo 111 per cui ogni processo deve svolgersi “nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità davanti ad un giudice terzo e imparziale”, in quanto la norma denunciata non consentirebbe all’accusa di far valere le sue ragioni con strumenti simmetrici a quelli di cui dispone la difesa. Infine la legge avrebbe eluso “il vincolo posto dal principio di obbligatorietà dell’azione penale (articolo 112 Cost.) cui dovrebbe ritenersi connaturata la previsione di un secondo grado di giudizio di merito anche a favore del pubblico ministero”. Insomma una disfatta su tutta la linea.

Come oggi ricorda l’Associazione nazionale dei magistrati. “La questione era stata affrontata dal legislatore nel 2006 con la legge Pecorella e la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima quella legge – ricorda il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia – Dell’inappellabilità delle sentenza se ne può discutere ma non nei modi in cui è stata rappresentata in queste ore. Non è certo questa la soluzione ai problemi della giustizia. Se un processo si conclude con un’assoluzione non si può pensare che si tratti di malagiustizia: i processi si fanno per accertare i fatti. Non è accettabile questo modo di ragionare, i processi vanno fatti per accertare la verità storica che non si conosce all’inizio”.

Di avviso opposto i penalisti che rivendicano di aver sollecitato il tema. “Nei giorni scorsi abbiamo inviato una lettera a tutti gli esponenti politici in competizioni indicando cinque priorità, tra cui proprio il ritorno alla inappellabilità delle sentenze di assoluzione da parte del pubblico ministero. Immagino che sia una risposta alla nostra sollecitazione e la valutiamo molto positivamente” dice il presidente dell’Unione delle Camere penali, Gian Domenica Caiazza, dopo la proposta di Berlusconi sull’inappellabilità delle sentenze di assoluzione, ricordando che si tratta di un’ipotesi rilanciata anche dalla commissione Lattanzi, sulla riforma del processo penale, ma poi “sacrificata”. Anche gli avvocati ricordano che la norma fu bocciata. “La legge in tal senso portava la prima firma di Gaetano Pecorella che era parlamentare di Forza Italia ma anche presidente dell’Unione delle Camere penali, ed è vero che la Consulta l’ha dichiarata incostituzionale, ma questa ipotesi è stata rilanciata dalla commissione Lattanzi istituita dalla ministra Cartabia, sottolinea l’avvocato Caiazza, ricordando che “esplicitamente la commissione si preoccupava di sottolineare che ovviamente la legge delega che suggeriva avrebbe dovuto tenere contro delle ragioni di annullamento da parte della Corte costituzionale. Poiché questa proveniva da una ex presidente dalla Consulta, è certamente una strada praticabile”. Quindi, conclude Caiazza, quella di Berlusconi “è una proposta nostra ed è forte delle indicazioni della commissione Lattanzi. Siamo lieti che Forza Italia rilanci questo tema, che ci è caro. E ci auguriamo che altre forze politiche destinatarie della nostra articolata proposta la facciano propria”. Ma la riforma Cartabia sul processo penale è stata approvata lo scorso settembre senza quell’ipotesi.

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