Le mascherine nelle prime fasi della pandemia “erano introvabili“. Ed è per questo che, anche se all’interno delle Rsa gestite dalla Fondazione Don Gnocchi di Milano ci sono state delle “carenze” nell’uso delle mascherine e dei Dpi, la procura di Milano hanno chiesto l’archiviazione dell’inchiesta. Le “condotte che adesso potrebbero apparire obiettivamente negligenti” da parte dei vertici del Don Gnocchi – come il mancato “utilizzo costante di mascherine” – per le pm titolari dell’inchiesta Letizia Mocciaro e Benedetta Bordieri “all’epoca non potevano essere pretesi in un contesto dove, per esempio, le mascherine erano introvabili”. Dopo molti mesi d’indagine gli inquirenti hanno depositato una richiesta di archiviazione che adesso dovrà essere valutata dal giudice per le indagini preliminari.

Istanza alla quale i familiari dei pazienti deceduti, rappresentati dallo studio di avvocati Reboa, hanno intenzione di presentare opposizione, entro il termine fissato per il prossimo 20 settembre. Una strada già percorsa con successo i familiari degli anziani ricoverati al Pio Albergo Trivulzio, anche loro decimati dal virus. Anche in quel caso la Procura aveva proposto l’archiviazione, ma il gip ha respinto l’istanza disponendo invece un supplemento d’indagine. Anche dall’inchiesta milanese sulle morti al Don Gnocchi, che ha preso il via dopo le denunce di alcuni dipendenti – licenziati per questo e poi reintegrati – sono emerse molte “carenze” all’interno della struttura. I

In tutto, tra pazienti e dipendenti, tra febbraio e novembre 2020 sono state contagiate 68 persone. Molti anziani ospiti della Rsa non sono sopravvissuti. Nelle prime fasi della pandemia, però, per le pm Mocciaro e Bordieri “gli studi scientifici e l’esperienza tecnica non si erano ancora sviluppati al punto da dare risposte certe e precise sul virus e sui rimedi ad esso”. Non solo. Il personale medico-sanitario non era pronto a fronteggiare un’emergenza di tale portata, anche perché “solo nelle more dell’emergenza sanitaria e attraverso l’attività lavorativa quotidiana il personale ha almeno cercato di capire come davvero si comportasse l’agente patogeno una volta infettato un individuo ovvero nel diffondersi tra più soggetti”.

“Per la prima volta dopo l’epidemia di ‘spagnola’ del 1918 il mondo si trovava ad affrontare una pandemia – fanno notare le pm -. Attribuire la responsabilità della mala gestio di una pandemia agli indagati” del Don Gnocchi però “significherebbe individuare un ‘capro espiatorio’ per le morti di persone care, lontane dalle proprie famiglie, che nessuno aveva mai ipotizzato di dover gestire”. La reazione dei figli dei tanti pazienti morti al Don Gnocchi non si è fatta attendere. L’avvocato Remo Reboa, che rappresenta molti familiari, non esita a definire la richiesta di archiviazione notificata ai primi di agosto una sorta di “resa” da parte della “pubblica accusa che dovrebbe esercitare l’azione penale ed ha scelto di non farlo”. “Abbiamo letto il provvedimento e siamo rimasti sconcertati da ciò che è stato scritto – aggiunge l’avvocato Reboa – Le famiglie possono stare tranquille, non rinunceremo al diritto di opporci ad un atto che riteniamo sia qualificabile come errato dal punto di vista giuridico e profondamente ingiusto ed irrispettoso del valore della vita umana“.

Foto di archivio

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