Sono totalmente disinteressato alle promesse elettorali. Purtroppo, data l’età, sarebbe più che diabolico prenderle non dico per vere, ma anche solo come verosimili. Non mi commuoverei nemmeno se garantissero il loro impegno per la luna o per il tradizionale pollo, poco cambia. Una promessa resta una promessa: cioè nulla. Per quanto mi concerne, i politici si votano esclusivamente per quello che hanno fatto (passato), non per quello che annunciano di voler fare (futuro). Un ulteriore motivo di disagio – forse personalissimo – di fronte alle campagne elettorali sta nel fatto che nessuno in realtà si presenta con un programma compiuto, coerente e organico. Cioè con una visione politica di ampio respiro e di medio-lungo termine. Con un’idea forte.

Da anni nessuna forza politica ha voluto sottoporsi al giudizio degli elettori con un progetto politico vero e proprio; solo slogan, parole d’ordine, recentemente – ancor peggio – solo tweet o post su Facebook. E si ostinano a chiamare “programma” (elettorale) una serie, in genere prolissa, illeggibile e appunto non letta da nessuno, discorsi vaghi e proposte estemporanee, in genere sconnesse una dall’altra. Per di più inconcludenti, visti i risultati degli ultimi 30 anni (a essere generosi).

Ma evidentemente gli italiani preferiscono gli specchietti per le allodole, che si chiamino ponte sullo stretto, flat tax, investimenti nel meridione, legge sul fine vita, regolamento dell’immigrazione, etc. E fingono di non sapere che – al contrario – un programma consiste in una serie di proposte organicamente collegate miranti a conseguire uno obiettivo unico e prioritario. E a tale proposito, per quel che mi riguarda, mi accontenterei di un’Italia più giusta, dove chi lavora e si impegna abbia di che vivere serenamente, per sé e per i suoi cari; non di un’Italia dove solo i privilegi, le furberie, le menzogne, i trucchi, le scorciatoie più o meno legalizzate la facciano da padroni, così di solito chi più ha è chi meno ha meno meritato. Per tutti questi motivi la proposta elettorale dell’ex premier Conte di mantenere lo stesso livello salariale, abbassando però le ore di lavoro, mi vede certamente favorevole, per la proposta in sé. Ma mi lascia (nuovamente) del tutto indifferente per il resto. In Italia c’è un forte problema sociale, reso ancora più acuto dal totale disinteresse della politica di sinistra e di destra verso situazioni tipo che il numero di italiani sprofondati al di sotto della soglia di povertà è passato negli ultimi venti anni dal 3,7% al 7,5%.

Ma – ammesso che il partito di Conte possa essere determinante nel governo che verrà – anche un provvedimento del genere, se non inserito in una coerente e adeguata politica economica che lo sostenga e lo alimenti, alla fine farebbe la fine di quelle buone intenzioni che hanno già lastricato il nostro inferno. Certo sarebbe urgente una riflessione delle classi dirigenti sui temi sociali. Perché fuori da una radicale riforma sociale non ci sono possibilità di sviluppo economico per questo paese. L’Italia dei privilegiati e dei raccomandati ha già dato il massimo di ciò che poteva offrire, e difatti siamo con il rapporto Pil/debito pubblico ormai al 150% e con i dati macroeconomici che sanguinano dal 1990 in poi e forse anche prima. È ora di costruire l’Italia di tutti. Ha voglia il ministro Colao a predicare che l’innovazione e la ricerca sono il cardine del futuro dell’Italia: parole sacrosante.

Ci fa piacere che il premier Draghi e gli illuminati economisti che lo contornano mettano l’accento sugli investimenti tecnologici: verità allo stato puro. Ma senza un progetto complessivo, una riforma sociale d’insieme, nessun contributo parziale potrà farci uscire dalle secche presenti. L’Italia ha bisogno prima di tutto di serenità e di collaborazione da parte di tutti. E queste condizioni possono verificarsi solo se esiste giustizia, se ognuno ha quello che si merita, se chi fa bene viene premiato e chi fa male viene punito. Ma se i primi a dare testimonianza del trionfo dei privilegi sulla giustizia sono gli stessi governanti, le stesse classi dirigenti, dove potrà finire qualsiasi programma elettorale se non nell’ennesima beffa, per di più molto costosa? Nel Vangelo sta scritto: “Cercate il Regno dei Cieli, il resto vi sarà dato in sovrappiù”. L’arte dello Zen poi ci insegna che per colpire il bersaglio con l’arco non vale concentrarsi sull’obiettivo, perché è l’attenzione verso i mezzi che ci fa vincere, non il perseguimento spasmodico dei fini. In politica come in economia è la stessa cosa.

Lo sviluppo economico non si raggiunge cercandolo ridicolmente con un’insensata e farraginosa produzione di pseudo-ricchezza. Lo sviluppo economico, un paese che sappia rendere endogena la crescita e persegua la felicità dei suoi cittadini si raggiunge attraverso la costruzione di una società regolata dalle leggi, in cui il maggior numero di persone possa vivere serenamente, partecipare e perseguire i propri obiettivi in un sistema basato sulla libertà. E questo – che non è utopia – purtroppo non lo vediamo nemmeno un poco in nessun programma elettorale.

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