Il lavoro su agli alpeggi, la gestione dei boschi, la sistemazione dei sentieri sono le attività agrosilvopastorali (Alpwirtschaft) che nelle comunità storiche alpine necessitavano del coinvolgimento simultaneo di numerose braccia. Per quel tipo di mansioni gravose la conduzione collettiva era d’obbligo. È proverbiale la formula: “Più si sale di quota più si innalza il senso di collettivismo, più si scende in pianura più si rafforza l’individualismo“.
Il sistema di vita degli antichi alpigiani favoriva il formarsi di comunità compatte: non c’erano apprezzabili divisioni di censo, ma allo stesso tempo vigevano scale gerarchiche definite dall’età, dal sesso, e anche dalla capacità, dunque dal merito. Comandavano gli anziani e i più capaci. In questa organizzazione della vita comunitaria, l’equilibrio demografico con la montagna costituiva il primo dato da tenere sottocchio: non ci si poteva permettere cali apprezzabili della popolazione, pena la carenza di individui abili per i lavori collettivi; e viceversa le bocche da sfamare non potevano aumentare a fronte delle risorse limitate offerte dal territorio. La “cultura dell’equilibrio”, o “del limite”, era dunque connaturata in quella cultura. Ed è il primo insegnamento di cui oggi avremmo bisogno per contrastare l’imperante “cultura dell’eccesso” di cui noi stessi siamo vittime.
La singola piccola comunità di antichi alpigiani di fronte alle risorse della sua piccola terra equivale, per traslato, all’insieme degli otto miliardi di umani di fronte alle risorse del nostro “piccolo” pianeta. “Non possiamo pensare a una crescita illimitata di fronte a un pianeta limitato”, sentiamo sempre più spesso ripetere da voci consapevoli. L’unica via per arginare la “cultura dell’eccesso” è diffondere una cultura dell’equilibrio. Questa è l’unica direzione che oggi ci è concessa, ma non sento nessun partito parlarne compiutamente nell’attuale campagna elettorale.
Le montagne possono insegnarci molto, diventando un luogo di avanguardia socioambientale. Senso della misura vuol dire sfruttare solo gli interessi e lasciare intatto il capitale naturale, come ripeteva Mario Rigoni Stern. O anche: “Non bisogna consumare in ciascun periodo più di quanto si è prodotto in quel periodo”, così diceva Rudolph Clausis, uno dei padri della termodinamica. Dunque, un’economia sostenibile è anche quella che riduce mutui, leasing, prestiti destinati a beni di consumo non indispensabili. Ma quanti ne parlano davvero in questa campagna elettorale?