La riduzione dell’orario di lavoro è uno dei temi rilanciati in campagna elettorale, sulla scia delle proposte di Movimento 5 stelle, Sinistra Italiana e Pd. Il punto di partenza sono le statistiche Ocse sulle ore lavorate che smentiscono molti luoghi comuni. Uno su tutti: in Germania si lavora poco e in Italia tanto. Gli occupati tedeschi sono in assoluto quelli che passano meno tempo sul luogo di lavoro, 1.349 ore ciascuno in un anno. In Italia sono 1.669 contro una media europea di 1.566 ore. Gli orari sono lunghi anche in Spagna, Portogallo e Grecia, paesi del Sud Europa non di rado vittime di stereotipi di senso opposto. In Francia non si superano le 1.490 ore mentre negli Stati Uniti si sale fino a 1791, 442 ore all’anno in più rispetto alla Germania. Considerando le giornate lavorative significa quasi 2 ore al giorno in più passate al lavoro. In generale l’orario di lavoro, dopo essere sceso un po’ ovunque tra gli anni ’50 e ’80, si è stabilizzato.

Una precisazione: tanto tempo passato sul luogo di lavoro non significa necessariamente lavoro migliore e produzione più alta. Spesso è esattamente l’opposto. Può essere anzi il frutto di cattiva organizzazione, organici ridotti o di scarse dotazioni di strumenti a disposizione del lavoratore, perciò serve più tempo per fare le stesse cose. E infatti i paesi con la più alta produttività del lavoro tendono a coincidere con quelli con in cui gli orari sono più brevi. In fondo alla classifica del tempo passato in fabbrica e in ufficio ci sono Danimarca, Olanda e Norvegia mentre i paesi dove si lavora più a lungo sono Messico, dove si superano le 2.100 ore, e poi Colombia e Costa Rica. Verosimilmente la produttività sale perché si investe di più nelle dotazioni dell’ azienda e nell’organizzazione del lavoro. A queste condizioni la quantità di ore passate sul posto di lavoro incidono meno.

La quantità di ore lavorate dipende, in parte, anche dalle differenti disposizioni normative. Non di rado le differenze sono però più di forma che di sostanza, visto che le leggi si limitano a fissare orari massimi poi derogabili dai contratti collettivi. Da legislazione gli orari normali sono ad esempio più basse in Francia che in Germania eppure le ore effettivamente lavorate sono più alte in Francia. Una direttiva Ue stabilisce alcune soglie massime che i paesi membri possono poi migliorare a favore dei lavoratori. In particolare il datore di lavoro deve assicurare che l’orario settimanale medio, inclusi gli straordinari, non superi le 48 ore. I dipendenti devono poter riposare per almeno 11 ore consecutive al giorno. Inoltre, ogni 7 giorni, vanno riconosciute ameno 24 ore di riposo. Quando l’orario di lavoro non viene misurato o prestabilito, come nel caso dei dirigenti, non è necessario rispettare gli obblighi indicati. Regimi speciali sono poi previsti per professioni particolari come medici, infermieri, vigili del fuoco, agricoltura e industrie in cui la produzione non può essere interrotta.

La legislazione italiana non si discosta molto da queste indicazioni. La legge spiega che l’orario normale è fissato in 40 ore a settimana, vale a dire le “classiche” 8 ore in 5 giorni. Ma i contratti collettivi possono modificare la soglia, almeno entro certi limiti. Quella massima è di 48 ore a settimana, straordinari inclusi. Giusto ricordare che durante la pandemia sono stati stanziati fino a 730 milioni di euro, per sperimentare nuove soluzioni. In particolare quella di ridurre l’orario e destinare il tempo alla formazione. In Francia l’orario normale base è inferiore, di 35 ore a settimana, 7 al giorno. Anche in questo caso i contratti collettivi possono stabilire limiti diversa. Tuttavia i massimali francesi sono più bassi rispetto all’Italia: 40 ore a settimane che possono salire al massimo fino a 44 in particolari circostanze.

La Germania adotta lo stesso limite massimo di 48 ore a settimana, in circostanze eccezionali la giornata lavorativa può raggiungere le 10 ore. Intervengono poi i contratti collettivi a fissare limiti diversi settore per settore. Il sindacato dei metalmeccanici tedeschi Ig Metall ha ad esempio concordato un orario settimanale base di 35 ore, cinque ore in meno rispetto agli accordi dei metalmeccanici italiani. Anche in Gran Bretagna la soglia massima è di 48 ore, con le solite eccezioni e la possibilità di accordi diversi. In alcuni settori i dipendenti possono concordare con il datore di lavoro orari più lunghi.

In Spagna l’orario “normale” è di 40 ore ma anche qui derogabili in base ad accordi collettivi nei diversi settori. Nel paese iberico però si cercano nuove soluzioni “post pandemia” e si sperimenta la settimana settimana lavorativa da 4 giorni, da 40 ore a 32, soluzione adottata con successo in Islanda. Il progetto sperimentale spagnolo si svilupperà in un arco di tre anni e coinvolgerà circa 200 imprese di media grandezza, per un numero di lavoratori che oscilla tra i 3mila e i 6mila. Lo Stato si farebbe carico del 100% dei costi della transizione durante il primo anno, del 50% durante il secondo e del 33% durante il terzo, grazie a 50 milioni di euro provenienti dai fondi europei. Fuori dall’Europa la legislazione è molto più blanda negli Stati Uniti dove fondamentalmente non esistono limiti generali sugli orari che sono poi concordati nei contratti collettivi ed individuali.

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