La Turchia tira dritto. A dispetto di un’inflazione all’80% la banca centrale ha deciso di insistere sulla sua politica di allentamento monetario, tagliando nuovamente i tassi di interesse dell’1% e portandoli al 13%. Generalmente le autorità monetarie si muovono in senso opposto. Quando i prezzi corrono i tassi di interessi vengono alzato. Contrarre prestiti diventa più costoso e si riduce la quantità di denaro in circolazione, un fattore che contribuisce a rallentare l’inflazione. Il problema è che queste politiche tendono anche a frenare la crescita economica, proprio quello che il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan non vuole a meno di un anno dalle elezioni. E la banca centrale turca non può vantare un grado di indipendenza dalla politica paragonabile a quello di Federal Reserve o Bce. La mossa arriva dopo che Ankara si è assicurata uno sostegno finanziario sia da parte dell’Arabia Saudita che della Russia che ha portato ad un aumento delle riserve di valuta estera del paese.
Dopo l’annuncio il valore della moneta locale è sceso bruscamente. Da inizio anno la lira ha perso il 25% del suo valore nei confronti del dollaro. Questo rende molto problematica la situazione per le aziende che hanno contratto prestiti denominati in valuta estera, cosa tipica per quelle che si affacciano sul mercato internazionale. Inoltre la riduzione dei tassi rende ancora più difficile la situazione dei risparmiatori che ricevono interessi reali sui loro depositi fortemente negativi. L’aumento generalizzato dei prestiti è infatti ben superiore rispetto a quel che fruttano i depositi. La debolezza della moneta ha il vantaggio di favorire le esportazioni. “Gli indicatori economici per il terzo trimestre indicano una certa perdita di slancio nell’attività economica”, ha affermato la banca centrale in una nota a giustificazione della sua decisione.