Papa Francesco recentemente ha smentito più volte con forza l’ipotesi delle sue dimissioni. Voci che sono state alimentate da letture errate degli eventi dell’agenda papale, tra il concistoro di fine agosto per la nomina di venti nuovi cardinali con la riflessione sulla nuova costituzione apostolica sulla Curia romana, Praedicate Evangelium, e la visita a L’Aquila con la preghiera sulla tomba di san Celestino V, il papa che si dimise nel 1294. Se lasciasse il pontificato, però, come ha rivelato lui stesso, Bergoglio non tornerebbe in Argentina: “Sono il vescovo di Roma, in quel caso sarei il vescovo emerito di Roma”. E in questa veste andrebbe a vivere a San Giovanni in Laterano.

Francesco ha anche chiarito che è necessario normare la figura del Papa emerito: “La storia stessa aiuterà a regolamentare meglio. La prima esperienza è andata molto bene perché Benedetto XVI è un uomo santo e discreto. Per il futuro, però, conviene delimitare meglio le cose o spiegarle meglio”. Un tema da sempre all’attenzione di uno dei maggiori canonisti della Chiesa cattolica, il vescovo Giuseppe Sciacca, presidente dell’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica.

Nel suo ultimo volume intitolato Nodi di una giustizia (Il Mulino), il presule affronta molti dei recenti problemi aperti del diritto canonico. Un testo indispensabile per gli addetti ai lavori che fotografa in maniera fedele e con la competenza giuridica indiscussa dell’autore i numerosi dibattiti degli ultimi decenni all’interno della Chiesa cattolica. Quello di monsignor Sciacca, però, non è un libro rivolto soltanto ai canonisti, ma è accessibile anche a chi vuole approfondire gli attuali problemi giuridici dell’istituzione ecclesiale. Il volume, impreziosito dalla prefazione del cardinale Walter Kasper e dalla postazione di Alessandro Pajno, è scandito da puntuali citazioni che consentono al lettore di avere una visione globale delle problematiche affrontate.

Di indubbio interesse è il saggio sulla rinuncia pontificia che sembra incarnare nel dibattito canonistico quanto auspicato da Francesco in merito alla necessità di normare la figura del Papa emerito, soprattutto in vista di future dimissioni. Monsignor Sciacca è convinto che “la rinuncia pontificia comporti inesorabilmente la totale conclusione di un ufficio, quello di titolare del primato pontificio, che è di natura esclusivamente giurisdizionale, esistendo infatti un’uguaglianza tra il Romano Pontefice e tutti gli altri vescovi sul piano sacramentale: quello del successore di Pietro è, infatti, un primato di giurisdizione, per cui il papa è il capo visibile della Chiesa e del collegio episcopale, di cui, in quanto vescovo di Roma, egli fa parte”.

Il presule riporta quanto ha affermato il teologo domenicano Jean-Marie Tillard: “Il papato non è un sacramento e neanche un grado del sacramento dell’ordine. L’elezione di un papa non è mai stata considerata come un sacramento. Non conferisce alcun carattere indelebile: quando un papa rinuncia cessa simpliciter di essere papa (ciò in modo ancor più grave significa mettere la Chiesa di Dio in una posizione falsa rispetto al ministero sacramentale: il che tocca la sua natura)”.

“Per cui, – secondo monsignor Sciacca – malgrado l’autorevolezza del loro autore, appaiono stravaganti certe posizioni di Karl Rahner sul primato romano come ulteriore grado del sacramento dell’ordine e non mancarono, come lo stesso Rahner avvertì, di suscitare serissime critiche, come quelle di Théodore Strotmann, che non esitò a definirle ‘mere insulsaggini’, vale a dire autentiche sciocchezze, e che lo stesso Rahner poi fece cadere, non tornando più sull’argomento”.

Prima di lasciare il pontificato, Benedetto XVI sottolineò che “sempre, chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata”. E aggiunse: “Il ‘sempre’ è anche un ‘per sempre’, non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro”.

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