Con dieci milioni e rotti di turisti in giro per Ferragosto, e grande concorso degli agognati stranieri, si comprende come i leader dei partiti politici non facciano altro che parlare del binomio cultura e turismo, alle prese con l’urgenza di presentare un programma elettorale pur raffazzonato in quattro e quattr’otto.
Cominciamo dai probabili vincitori del centrodestra, che già vantano con il ministro leghista Garavaglia il merito parziale dell’en plein di turisti di quest’estate. Nel programma comune Meloni, Salvini, Berlusconi e alleati di centro parlano di “valorizzare la Bellezza (con maiuscola simil-Sgarbi, nda) dell’Italia nella sua immagine riconosciuta del mondo”, indicando che la “tutela del patrimonio culturale costituisce il volano economico e identitario italiano”. L’evocazione del valore aggiunto e del fantasma dell’identità cela a malapena l’automatismo diffuso a destra di mettere la mano alla pistola quando si parla di cultura, così in sintonia come si mostrano sempre Forza Italia, Lega e i Fratelli di Giorgia, con “la turba al vil guadagno intesa”, che com’è noto guarda di traverso, dai tempi del Petrarca, alle miserie non solo della filosofia ma dell’arte in genere. E va bene così, comunque il centrodestra promette anche un generico “sostegno allo spettacolo” che si traduce in “incentivi per l’organizzazione di eventi di livello nazionale”: il che, immaginiamo, sarebbe a dire la moltiplicazione del modello Arena di Verona, piuttosto che dieci, cento, mille festival di Sanremo.
Ci sarebbe da star più sereni guardando a sinistra, dove è rivolto lo sguardo di tanti intellettuali e uomini di spettacolo. In effetti il Pd promette di “raddoppiare gli investimenti in cultura” e articola in più punti, ancorché generici, il suo intendimento in materia: “rigenerazione culturale” dei luoghi abbandonati, messa in sicurezza del patrimonio artistico, incentivi a un “nuovo mecenatismo”, sostenibilità del paesaggio, “piano nazionale per la cultura digitale”, “18App” come estensione del bonus culturale per i giovani, creazione di una rete strutturale di luoghi Erasmus e bla-bla-bla.
Peccato che ci siano anche almeno due cadute allarmanti nel programma culturale presentato da Letta: il primo è la dichiarazione che vada sostenuta la produzione culturale italiana perché ha la funzione “di rafforzare il senso d’appartenenza identitaria”, affermazione che peraltro mostra una certa sudditanza culturale nei confronti del blocco allo stato egemonico del centrodestra. Il secondo punto critico, più in concreto, è la promessa di garantire “incentivi premiali per le eccellenze nel teatro, nella lirica, nella musica e nella danza”.
Ora, se queste parole hanno un senso, vuol dire che il Partito Democratico si è talmente istituzionalizzato da barricarsi dentro alla Scala, per dirla con un’immagine, rinunciando invece a voler sostenere, come sarebbe logico, l’innovazione e la ricerca anche nel campo delle arti performative. E senza nemmeno dire dei più sofisticati: basta ricordare che alcuni dei nostri registi di maggior talento producono i loro spettacoli eccellenti con la propria piccola compagnia, associandosi magari ad altre realtà europee, e quando sono chiamati a lavorare dentro a un contesto più ricco e istituzionale, se accettano, non riescono quasi mai a fare centro.
Ecco, in questi programmi culturali dei due maggiori blocchi, che purtroppo nei punti chiave sono a specchio, cominciano i guai seri per gli addetti ai lavori e gli appassionati. Di cultura e di spettacoli asfittici, poco aperti alla realtà internazionale e sordi alle avanguardie, abbiamo già adesso tutti un po’ piene le scatole; dei grandi teatri e dei grandi “eventi” nazionali e di tutti i soldi pubblici che divorano e sottraggono ad altre iniziative bisognava ripensare il senso già qualche decennio fa. Non a caso, anche solo nei prossimi giorni, gli appuntamenti più interessanti sono in cantiere nei luoghi meno accademici e più sensibili all’ibridazione culturale.
Amen, vedremo prossimamente che cosa dicono le altre principali forze politiche.