Ciò che ha fatto il sindaco di Nardodipace, Antonio Demasi, non è scontato e non è facile: con una ordinanza ha annullato l’esibizione di Teresa Merante prevista per sabato 13 agosto a margine di una festa religiosa. La motivazione è chiara: “consiste nell’esibizione di tale Teresa Merante, nota per avere durante vari concerti cantato brani inneggianti la sottocultura mafiosa”. Si legge che il provvedimento era stato caldeggiato anche dal Coordinamento di Libera di Vibo Valentia.

Annullare questa esibizione significa ribadire in maniera formale e pubblica da che parte si sta e per un politico significa anche ribadire chi si vuole rappresentare e chi no, da chi si vogliono prendere i voti e da chi no. E’ una scelta conflittuale, di quel tipo di conflitto di cui vive la democrazia, perché la democrazia non è promessa di tranquillità, ma promessa di gestione “ordinata” del conflitto tra diversi modi di intendere la società, con un limite, non valicabile: quei modi di intendere la società che sono criminali e che in quanto tali non possono entrare nella concorrenza normale tra ipotesi, ma devono semplicemente e sempre essere censurati ed espulsi dal dibattito. Perché non sono modi tra gli altri, sono reati.

Il modo mafioso di organizzare la società non è uno tra i modi possibili che in nome della libertà di pensiero può trovare cittadinanza nella pubblica conversazione: è un crimine. Così come lo è il fascismo, con buona pace dei nostalgici. In questi anni si sono però moltiplicate le situazioni che manifestano il continuo, rinnovato e talvolta spudorato tentativo di legittimare la cultura mafiosa (così come quella fascista): pizzerie e ristoranti, cantanti neomelodici e non, profili social, gang giovanili, serie tv hanno invaso l’immaginario collettivo, surclassando e attualizzando il più antico e rituale dei modi di legittimare la mafia: il cosiddetto “inchino” durante le processioni religiose.

Sono tanti i motivi del successo di questa cosiddetta sottocultura mafiosa, non è questo lo spazio adatto per approfondirli, ma tra questi uno è senz’altro la perdita di credibilità delle istituzioni e della politica, che concorre con i ritardi, la corruzione, la inadeguatezza, l’assenza di risposte, l’esibita lotta di potere fine a se stessa, fino alla vera e propria collusione, ad alimentare la ricerca di altri “ordini” sociali, che riescono a farsi percepire come più affidabili ed efficaci, fondati sull’onore, sulla lealtà, sulla identità, sulla forza dell’appartenenza: roba da clan, roba da razza superiore. Mai come in questa campagna elettorale per le politiche del 25 settembre le parole saranno pietre: recuperare alla democrazia costituzionale almeno una parte dei fan fascio-mafiosi sarà una bella impresa e avrà a che fare con la credibilità delle persone che saranno in campo, più che con gli slogan da manifesto.

Perché a parole sono più o meno tutti bravi e a dire che la “mafia fa schifo” non ci vuole molto: abbiamo avuto in questi anni fulgidi esempi in tal senso! La credibilità delle persone ha a che fare invece con le condotte tenute in una vita intera: non si trucca, non si improvvisa. La Calabria è uno scrigno di queste storie credibili, ne ho conosciute tante in questi anni di militanza sociale e politica, sono uomini e donne che non hanno mai ceduto allo sconforto anche quando ne avrebbero avuto più di un motivo, non hanno mai girato le spalle alla Repubblica, anche quando la legalità dello Stato sembrava più un groviglio soffocante che uno strumento di libertà.

Per rispetto non cito nessuno di quelli viventi: ne tralascerei troppi. Ma almeno un “indirizzo” alla riflessione di chi sarà arrivato fino qui a leggere lo voglio dare: cercate la storia di Giuseppe Valarioti e troverete due tesori. La vita di un politico appassionato e con la schiena diritta, assassinato nel 1980 a Nicotera, e un collettivo di giovani calabresi che nel suo nome si è organizzato per fare migliore la Calabria.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Sicilia, 10mila persone al concerto antimafia nel regno di Messina Denaro: Kalkbrenner fa ballare il tempio di Selinunte

next
Articolo Successivo

Giovanni Paparcuri lascia il bunkerino di Falcone al Tribunale di Palermo: “Era e rimarrà per sempre il palazzo dei veleni”

next