Le grandi contese nazionali tra Enrico Letta, Carlo Calenda e Matteo Renzi, si sciolgono a Trento in una ancor più grande ammucchiata. Si mettono tutti assieme a sostenere i candidati nei tre collegi del Senato, sbandierando una sottigliezza legislativa, secondo cui per Palazzo Madama non c’è alcun calcolo nazionale sui voti, ma una assoluta autonomia, a differenza di quanto avviene per la Camera dei Deputati.
E così, alla faccia delle torte che si stanno lanciando a Roma, hanno firmato un patto non solo di non aggressione, ma anche di aiuto reciproco. Si appoggia un unico candidato per collegio, in vista della prospettiva di fare lo stesso tra un anno quando verrà rinnovato il consiglio provinciale, nella speranza di sbarrare la strada al leghista Maurizio Fugatti. Così Matteo Renzi si porta a casa una candidatura a Rovereto, nella persona di Donatella Conzatti, 48 anni, senatrice uscente.
Il Pd fa buon viso a cattivo gioco, non solo accettando un nome indicato dall’ex segretario ed ex presidente del consiglio, che poi se ne è andato dal partito sbattendo la porta, ma ingoiando il boccone di una parlamentare che nel 2018 fu eletta con il centrodestra. Nel collegio uninominale senatoriale di Trento sarà candidato Pietro Patton, in quello di Pergine Valsugana Michele Sartori. Il nome scomodo è quello della Conzatti, che era alla ricerca di un posto sicuro, che forse così sicuro non è alla luce del voto contrario da parte dei rappresentanti roveretani del Pd nell’assemblea provinciale.
La Conzatti è una specialista dei cambi di casacca. Dal 2013 ad oggi è passata da Scelta Civica di Mario Monti all’Unione per il Trentino, poi da Alternativa Popolare di Angelino Alfano a Noi con l’Italia-Udc, quindi da Forza Italia (con cui fu eletta senatrice) a Italia Viva di Renzi, finendo addirittura nella cabina di regia di quest’ultimo partito. Completa l’operazione entrando in una coalizione con il Pd.
La giustificazione tecnico-politica si arrampica sulla natura della legge elettorale. A firmare l’accordo sono state le seguenti sigle: Partito Democratico del Trentino, Partito Socialista Italiano, Alleanza Verdi Sinistra, + Europa con Emma Bonino, Campobase e Azione – Italia Viva Trentino. Nel documento si fa riferimento a una “felice anomalia”. Infatti, mentre il sistema elettorale della Camera dei deputati “è rigidamente nazionale”, il Senato “è eletto su base regionale”. Quindi, non c’è alcun imbarazzo a indicare un unico obiettivo per forze politiche che su altri argomenti la pensano in modo diverso: “Il nostro scopo è la valorizzazione della nostra autonomia speciale, un’occasione per una comunità autonoma, che ha sempre cercato e talvolta è riuscita a rappresentare un utile e interessante laboratorio politico per la più ampia comunità nazionale”. Naturalmente viene citata la cornice dell’Europa e di Euregio, mentre viene nominato anche il trentino Alcide De Gasperi.
Ci sono tanti modi per giustificare un’inversione di marcia. La realtà è che ci si coalizza oggi a sostegno delle tre candidature comuni, ma si punta ad averne molte di più fra un anno, quando la verifica elettorale metterà alla prova la rielezione di Fugatti. A Trento negli ultimi giorni ne sono successe di tutti i colori. Il Pd ha convocato l’assemblea provinciale per prendere la decisione. Poche ore prima, Sara Ferrari, candidata nel proporzionale a Trento per la Camera, aveva sbagliato a inviare un messaggio privato, indirizzato al collega consigliere provinciale di Futura, Paolo Zanella. E ha reso pubblico l’invito al movimento Futura a contrastare il nome di Donatella Conzatti per il seggio di Rovereto. Al momento del voto in assemblea, però, si è accodata anche lei ai favorevoli all’intesa. La segretaria provinciale Lucia Maestri ha invitato “a ragionare con la testa, non con la pancia”, guardando agli sviluppi futuri dell’alleanza con Renzi e Calenda. A favore hanno votato in 37, mentre 10 si sono astenuti. Sono tutti i rappresentanti di Rovereto. La segretaria ha commentato: “Il segretario Letta ha approvato il nostro percorso. Noi abbiamo privilegiato l’unità rispetto alle divisioni emerse a Roma. Il dissenso? Siamo un partito democratico”.
Chi non c’è stato è Futura, il cui simbolo non comparirà nelle liste, anche se ha assicurato un appoggio esterno. Le parole però pesano: “Volevano imporci un ricatto, questa è solo un’alleanza elettorale”.