di Andrea Vivalda
Non passa giorno di questa campagna elettorale in cui non si legga un appello di Enrico Letta al “voto utile”, riferendosi a quello dato alla sua coalizione, come unica arma per difendere il Paese da una svolta verso la destra estrema. Effettivamente non sarebbe bello veder smontare uno a uno i diritti civili in un’Italia sulla rotta del suprematismo con Giorgia Meloni al timone. Ma, visto dalla sinistra progressista, è veramente questo l’unico pericolo di queste elezioni?
Forse no. Come interpretare ad esempio l’insolito basso profilo tenuto in questi giorni da Matteo Renzi, che ha persino “generosamente” ceduto il ruolo di “prima donna” a Calenda nella corsa elettorale? L’uomo che negli ultimi anni ha fatto e disfatto a proprio piacimento i governi altrui, che incontra agenti dei servizi segreti negli autogrill e che ha rapporti diretti con Bin Salman, appare insolitamente silenzioso e in disparte: frigge qualche idea in pentola?
Non è improbabile che, facendo leva sulla paura del cambiamento degli elettori più liberal, l’asse Renzi-Calenda possa raggiungere anche il 7% dei consensi. Così come improbabile non è che la coalizione di centrosinistra, facendo leva sul “voto utile” anti-destra, possa attestarsi al 35%. E non appare neppure improbabile che Forza Italia, rimasta con un peso troppo risicato nel centrodestra per rassicurare i suoi elettori liberal-centristi rispetto a una deriva verso la destra estrema, il 25 settembre possa ritrovarsi allettata da una proposta di Matteo Renzi, il quale potrebbe tornare di colpo a parlare, dicendo più o meno così: vista l’emergenza Covid (a settembre i numeri lieviteranno come sappiamo), l’emergenza Ucraina, l’emergenza energetica e il debito pubblico, proponiamo a Mattarella un governo di unità nazionale con Draghi premier, “l’unico che può salvarci”.
In una tale situazione è del tutto improbabile che il Pd rifiuterebbe l’occasione di essere ancora al governo. E così l’asse Iv, Azione, Pd e FI potrebbe dar vita all’ennesimo “governo di emergenza”, che continuerebbe (come nell’ultimo anno e mezzo) a non riformare nulla (perché “siamo in emergenza”), a smontare le riforme fatte nei governi Conte (perché “siamo in emergenza”), a prostrarsi genuflesso alla politica Usa (perché siamo in…), a governare senza Parlamento a colpi di decreti e voti di fiducia (perché siamo…), presentandone i testi all’ultimo minuto al consiglio di amministrazione – pardon… dei ministri – presieduto dal chief, Mario Draghi. Qualcosa in più la farebbe forse, c’è la Legge Finanziaria alle porte, bisogna chiudere i rubinetti alla popolazione per salvare il bilancio (perché siamo…): Confindustria e banche vanno protette “whatever it takes”.
Non un bello scenario per la sinistra progressista, il cui voto sarebbe stato ancora una volta derubato e dirottato: il “voto utile” di Letta risulterebbe più il voto utile al Pd per rimanere in cabina di pilotaggio, che non per salvare il paese dalle destre.
Ma allora, esiste per gli elettori della sinistra progressista un modo per evitare sia il rischio “destra estrema” che il rischio “rimpasto Draghi”? Esiste una sola possibilità: che gli elettori diano più peso possibile all’unica forza progressista che si è tenuta fuori dai giochi di potere in campagna elettorale: il M5s. Se gli elettori più progressisti del Pd, intravisto il pericolo rimpasto, spostassero il voto al Movimento di Giuseppe Conte (non impossibile visto il suo programma fortemente progressista); se gli elettori grillini non pervenuti negli ultimi appuntamenti elettorali tornassero alle urne; se il 25 settembre il peso specifico del M5s risultasse tale da fare da baricentro a una ritrovata area progressista, allora sì, potrebbe essere scongiurato sia il pericolo dell’estrema destra sia quello di un nuovo, buio e tempestoso, rimpasto draghiano e, magari, l’Italia potrebbe persino salpare verso una rotta realmente progressista e riformista. Questo sarebbe un vero “voto utile”.