Invece di cominciare a pensare a come arginare i guasti del distrut-turismo, le due coalizioni principali si affronteranno nelle urne il 25 settembre promettendo di non finanziare soltanto le assurde nuove piste da bob a Cortina o gli orribili albergoni, ma anche le iniziative culturali purché finalizzate a battere la grancassa turistico-nazionalista. Non si capisce bene a quale santo votarsi, letteralmente, per convincere la nostra classe politica che la cultura non può essere soltanto del parmigiano da grattare sul turismo. Men che meno dopo un’estate dove il micidiale mix tra caldo, siccità e assalto dei turisti ha messo così a dura prova il fu Belpaese, da Venezia alla costiera amalfitana, dai laghi alle nostre disgraziate montagne.

Qui casca pure il cosiddetto “orgoglio identitario“: se diventiamo tutti sempre più ignoranti, e magari alcuni, pochi, più ricchi – dopo aver svenduto all’assalto di massa i nostri luoghi più belli -, non è che l’Italia possa andare avanti tanto meglio. Purtroppo, anche guardando bene tutti gli altri programmi elettorali, si può notare prima di tutto quanto la vulgata nazionalista e l’attenzione economicista dei due grandi blocchi post-fascista e post-cattocomunista siano ormai davvero egemoniche.

Persino nel testo ufficiale dei 5 Stelle la cultura compare tra le righe programmatiche dedicate al turismo. Con le promesse di un piano di assunzioni pubbliche, del freno alle esternalizzazioni e della lotta al precariato sottopagato, comunque, s’accentua perlomeno la connotazione sociale delle pagine gialle delle promesse di Giuseppe Conte sui luoghi della cultura. Ancora, di notevole, i 5 Stelle promettono pure di promuovere la cultura anche per “l’inclusione” degli emarginati e dei migranti. A proposito, guardando un attimo agli alleati verdi-sinistra del Pd, ecco che ricompare la parola “teatro”, inserita nel contesto del punto sull’Italia sociale: “ogni periferia, oltre ai servizi necessari, sarà dotata di una specificità a livello urbano che la caratterizzi (teatro, biblioteca, museo, parco…) in modo che si crei interdipendenza con le altre parti del territorio”. Sic.

E veniamo a Matteo Renzi, che non è certo più quello della Leopolda dove bussava alla porta di Baricco per ritrovarsi in un Campo dall’Orto (poi spedito alla Rai): adesso lascia la scena a Calenda e alla piccola comitiva di leaderine per il centro-sinistra-Draghi. Ufficialmente presentano 68 pagine di programma, di cui una e mezza soltanto dedicata alla cultura. Eppure, tutto sommato, questa è una piattaforma bene articolata, in 13 punti, con il principale intendimento di smuovere la scarsa dinamica dei nostri consumi culturali, che vede l’Italia al penultimo posto in Europa.

In mezzo a vere e proprie “calendate“, come la proposta di “un viaggio gratis a Roma per tutti gli under 25”, nell’autoproclamatosi Terzo Polo si ricordano almeno dello “spettacolo dal vivo” – detto così, con categoria onnicomprensiva -, puntando a promuovere il ritorno nelle sale degli studenti e delle scuole, promettendo incentivi agli under 40 che vogliano impegnarsi nel settore, ai progetti di rigenerazione urbana e ai soggetti culturali che operano nelle carceri. Bene, peccato che poi il programma unico concreto di Azione-Italia Viva sia l’agenda Draghi con Draghi, il cuore di banchiere di cui esistono persino le foto a messa e neanche una in un teatro… Il che vuol dire la fantomatica “Missione Turismo e Cultura 4.0” che è già nel Pnrr europeo, ovvero un’azione molto limitata alle pur sacrosante digitalizzazione del patrimonio artistico e abbattimento delle barriere architettoniche, con qualche mancia per l’industria cinematografica.

Se queste sono le promesse elettorali dei partiti italiani, figurarsi gli addetti ai lavori come si possano sentire già soffocati. Sono tutti d’accordo, nei due grandi blocchi, che avremo sempre gli stessi “grandi” teatri e tanti nuovi “grandi” eventi, che divorano montagne di soldi pubblici e li sottraggono ad altre iniziative. Resteremo ancor più chiusi rispetto alla realtà internazionale e sempre più sordi alle avanguardie. Persino nell’improbabile caso di una vittoria molto diversa da quella che s’annuncia, c’è poco da sognare: qualche scolaresca a teatro in più, l’apertura di piccole nuove sale di periferia, la finta cooperativa che non potrà più dare la miseria di 5/6 euro l’ora alle maschere, qualche bello spettacolo per l’integrazione dei meno fortunati…

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