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Erdogan sa quali fiches giocare sul tavolo internazionale: e l’Occidente gli dà pieni poteri

Il pragmatismo di Mario Draghi, che di Recep Tayyip Erdogan disse “è un dittatore con cui bisogna avere a che fare”, dovrebbe essere alla base delle valutazioni strategiche dell’Occidente che si approccia al regime turco. Ma accade spesso che Ue e Usa finiscano per fare un passo indietro rispetto ad Ankara: è accaduto sul dossier migranti, sta accadendo sulla Siria e accadrà anche nel dossier energetico.

Dietro le ultime mosse turche in Siria si staglia esattamente questo disegno, che risponde alla natura vetero-ottomana della Patria Blu, la stessa che rivendica diritti assurdi sulle isole greche o sulle acque di Cipro nel silenzio dell’Ue: Erdogan, come 30 anni fa per lo stretto dei Dardanelli, è pienamente consapevole che oggi il suo paese ha delle buone fiches da giocare sul tavolo internazionale (si veda alla voce grano, energia, migranti) e conduce le sue operazioni su questa traccia. Per questa ragione, nel caso specifico siriano, il presidente continua a far bombardare le milizie curde anti-Isis (Ypg/Ypj) che vede come fumo negli occhi verso il suo tragitto che lo porterà alle elezioni presidenziali del 2023.

Ciò ovviamente non è sufficiente a giustificare la mollezza con cui l’Occidente replica. Tra i pochi a sollevare un dito per eccepire a questa postura c’è il senatore repubblicano Ted Menendez, presidente della Commissione Esteri, che ha preso posizione, ad esempio, sulla possibile vendita di F-16 americani alla Turchia: “Dalle continue violazioni dello spazio aereo greco al ritardo nel processo di adesione di Svezia e Finlandia alla Nato, spero sinceramente che la Turchia cambi rotta e adempia alle sue responsabilità nei confronti dell’Alleanza, essendo il partner costruttivo nella regione che tutti speriamo possa essere. Fino ad allora non posso sostenere la vendita o il trasferimento di caccia F-16 statunitensi alla Turchia”.

Una chiarezza che da altri pulpiti non è arrivata, compresi Bruxelles e Roma, dimostrando ancora una volta che Erdogan ha i pieni poteri nel Mediterraneo: come racconta l’accordo per la zona economica esclusiva siglato con la Libia, che “dimentica” il fazzoletto di acque dinanzi a Creta, isola greca appartenente a uno stato membro, e come dimostra l’accordo dell’Ue con la Turchia sui migranti siriani da cinque miliardi di dollari, che ha costretto i profughi delle guerra al lazzaretto su suolo turco nel silenzio generale. Tra l’altro il governo di Ankara li ha usati per creare tensioni alla frontiera greca di Evros.

Queste continue mortificazioni del diritto e dei trattati internazionali foraggiano scenari “in stile Ucraina”, compresi i casi di Taiwan e Cipro che in troppi sottovalutano quanto a impatti geopolitici, economici e sociali. La pretese turche nell’Egeo hanno superato tutti i limiti: anche per questa ragione la Grecia ha concluso un accordo di mutuo soccorso con la Francia, da cui ha acquistato 24 caccia Rafale, e con gli Usa, che hanno in uso quattro basi strategiche su suolo ellenico. Ma il nodo resta sempre intrecciato a Bruxelles: la contingenza che si debba comunque trattare con Ankara alla luce di una realpolitik che tocca grano, commerci ed equilibri non può mettere in secondo piano il rispetto di leggi e trattati.

Il ministro turco della difesa Akar pochi giorni fa si è permesso di sostenere che “se Dio vuole, prenderemo Kastellorizo”, l’isola greca resa famosa dalla pellicola di Gabriele Salvatores Mediterraneo. Chi ha replicato dall’Occidente a questa ennesima provocazione?