Chi visiterà il “bunkerino” di Giovanni Falcone al Palazzo di Giustizia di Palermo non troverà più Giovanni Paparcuri. Sopravvissuto alla strage di Rocco Chinnici e diventato poi lo storico consulente informatico del pool antimafia, Paparcuri è stato l’anima del museo Falcone Borsellino realizzato sei anni fa dall’Anm di Palermo nell’ufficio del Tribunale, al piano ammezzato, in cui lavorarono i due magistrati.
“In questo luogo ci ho vissuto per 42 anni”, scrive Giovanni Paparcuri in un post su Facebook con il quale annuncia il suo addio al bunkerino: “Ho conosciuto straordinarie persone, ho rischiato di morire, ho ripreso mettendo da parte le tante delusioni che ho dovuto ingoiare. E mai ho detto non mi sembra l’ora che me ne vado in pensione. Il mio sogno – prosegue – era che da morto o poco prima di morire mi avrebbero portato lì per un ultimo saluto. Ma alla luce delle ultime vicende devo confessare che adesso lo odio e non ne voglio più sentire parlare. Era e rimarrà per sempre il palazzo dei veleni…”.
Paparcuri non è solo il fondamentale collaboratore dei due giudici e colui il quale “inventò” l’informatizzazione del maxiprocesso (all’epoca rivoluzionaria) che ha permesso a Falcone e Borsellino di poter accedere all’incredibile mole di documenti grazie a un pc. E’ anche la memoria storia di quegli anni. Giovanni Paparcuri è anche una delle voci protagoniste del podcast Mattanza di Giuseppe Pipitone. E’ lui a raccontare aneddoti e vicende degli anni più difficili per Palermo e la Sicilia: dalle lacrime di Giovanni Falcone al ritrovamento, proprio nel bunkerino, di un appunto del magistrato con il nome di Berlusconi.
“Scrivo perché ho il dovere morale di spiegare alle tante persone che in questi giorni sono venute al bunkerino e deluse non mi hanno trovato, il motivo per il quale non ci vado più. Scrivo perché non posso lasciare agli altri di giustificare la mia assenza. Scrivo perché i messaggi che mi arrivano sono dello stesso tenore come quello che condivido. Signori grazie dei messaggi, ma voi non dovete venire per me, ma per loro. Io non ci sarò più, ma ci tengo a precisare che non è una resa, mi costa parecchio abbandonare, ma ribadisco che non è una resa, ma devo farlo, perché sono stanco”, aggiunge Paparcuri nel suo post su Facebook. “Sono stanco di chiedere continuamente scusa, sono stanco di leggere certe cose, stanco della tanta ipocrisia e della falsa solidarietà, stanco di difendermi, stanco delle invidie, stanco dei sospetti, stanco delle lamentele, stanco di raccontare, stanco di tutto, comunque è da parecchio che ci penso”, scrive Paparcuri. Sul perché della sua scelta, rispondendo ai commenti sottolinea che “non è da oggi che esistono svariati problemi, ma per amore di quei giudici sono tornato sempre sui miei passi, per ultimo l’ho fatto presente il 24 maggio (per una vicenda che racconterò in seguito), ed è da quel giorno che aspetto quanto meno una convocazione, per un chiarimento e per definire una volta per tutte i ruoli, ma anche per sentirmi dire ‘Giovanni hai rotto il cazzo, invece nulla’. Ho aspettato inutilmente, solo silenzio, e il silenzio dice più di mille parole”.
“Mi dispiace moltissimo che Giovanni Paparcuri abbia deciso di lasciare il bunkerino. Spero che ci ripensi e che non si tratti di una decisione definitiva”, ha commentato all’Adnkronos il presidente del Tribunale di Palermo Antonio Balsamo. “Vorrei invitarlo con tutto il cuore a riprendere la sua attività – dice ancora Balsamo- anche perché Paparcuri e l’allora Presidente della Corte d’appello Gioacchino Natoli hanno avuto una idea veramente straordinaria. Di tramandare alle giovani generazioni una parte importante del patrimonio ideale di questa città che è un fondamento della nostra identità collettiva“.