Uno dei miti che aleggiano attorno alla flat tax, la tassa sul reddito con una sola aliquota, è che essa darebbe un contributo decisivo per la lotta all’evasione fiscale, forse la principale piaga del nostro sistema tributario da molti anni ormai. Già all’indomani della grande riforma tributaria del 1973, Franco Reviglio stimava che fosse del 10% per il reddito da lavoro dipendente e del 50% per quello da lavoro autonomo. Il tema è così importante che la legge finanziaria del 2009 ha previsto che venga presentata ogni anno al Parlamento una relazione specifica sui risultati delle misure di contrasto all’evasione fiscale. Quindi oggi possiamo disporre di un documento qualificato e redatto da una commissione di esperti che ogni anno fotografa questo fenomeno e la sua evoluzione.
Prendiamo in considerazione l’ultima relazione, quella del 2021 che si riferisce al 2018 ed anni precedenti. Nel 2018 le tasse non pagate hanno raggiunto l’astronomica cifra di 90,584 miliardi di euro, molto superiore agli interessi pagati sul debito pubblico. Le imposte regine dell’evasione fiscale sono l’Iva, evasa per 32,007 miliardi di euro, e l’imposta sui redditi da lavoro autonomo e d’impresa per 32,777. Le altre principali imposte evase sono l’Ires, oltre sette miliardi, l’Irpef dei lavoratori dipendenti, l’Irap e l’Imu, tutte con un mancato gettito attorno ai 5 miliardi di euro. Non si tratta di reddito non dichiarato, ma di imposta non versata. Se le cifre in gioco sono alte, ancora più impressionante è il tax gap, cioè il rapporto tra imposta non versata e imposta dovuta: 23% per l’Iva e il 67% per il lavoro autonomo e d’impresa. In quest’ultimo caso per ogni 100 euro di imposta ne sfuggono 67. L’evasione è un ottimo affare, come ebbe a dire qualcuno nelle alte sfere ministeriali qualche anno fa.
Se questo è il quadro desolante e indecente – come disse il ministro delle Finanze Bruno Visentini ancora qualche decennio fa – come potrebbe essere modificato da una ipotetica flat tax? Innanzi tutto notiamo che l’aliquota costante aiuta poco. Consideriamo il caso dell’Iva, la flat tax per eccellenza dei sistemi fiscali moderni. È abbastanza ragionevole che questa tassa sui consumi abbia un’aliquota costante. In Europa l’evasione dell’Iva ammonta a circa il 10%, un’evasione verrebbe da dire abbastanza fisiologica. In Italia invece la situazione è del tutto anomala arrivando appunto al 23%, anche se con la fatturazione elettronica, magicamente, c’è stato un recupero anche notevole di imposta. Dove non ha potuto la lealtà morale è intervenuta la tecnologia, ben più persuasiva. Ma con l’Iva siamo ancora nel campo delle imposte indirette.
Veniamo alle imposte dirette. La flat tax per gli autonomi in salsa salviniana contribuirà a ridurre la scandalosa evasione nel mondo del lavoro autonomo e d’impresa? Vi sono molti motivi per dire di no. Innanzitutto non aiuta l’evidenza storica. Per fare un solo esempio, in Romania, un paese che ha la flat tax dal lontano 2005, l’evasione è ancora pari al 32,6% del Pil. A contrario, nella virtuosa Austria dove la pressione fiscale è al 40% del Pil, l’evasione è appena al 9,1% del Pil. L’equazione tassa piatta uguale bassa evasione non sembra esistere, se non nella sguaiata retorica partigiana del centrodestra, non tutto peraltro.
Venendo al caso italiano, la tassa leggera sulle piccole e medie partite Iva può convincere molti di questi contribuenti a non comportarsi da free rider fiscali, usufruendo dei servizi senza pagarne il costo? La risposta anche qui è negativa, per due ragioni. La prima, minore, è l’effetto soglia che si verifica in ogni sistema agevolato. Il professionista che fattura una cifra appena al di sopra della soglia si troverà a pagare più tasse di chi è sotto la soglia. Si stima che nella condizione attuale la parità fiscale si raggiunga con un fatturato di 80.000 euro, quindi del 25% superiore. Questa situazione spingerà molti artigiani e professionisti inevitabilmente alla sottofatturazione.
La seconda ragione è ancora più rilevante. Il sistema di privilegio di questi contribuenti è in parte finanziato, si fa per dire, con l’annullamento di tutte le detrazioni e deduzioni proprie dell’Irpef. In particolare, non ci sarà più la necessità di certificare molti oneri deducibili come le spese mediche, per l’istruzione o altro, appunto perché non più deducibili. Venendo a mancare questa ragione è del tutto probabile, anzi certo, che vi sarà una notevole espansione dell’economia sommersa che già ora vale il 12% dell’economia italiana. Con l’annullamento degli oneri deducibili, uno dei principali strumenti per fare emergere il reddito in molti campi economici verrebbe annullato, almeno per due milioni di contribuenti ma anche di più se troverà applicazione la sua estensione. Quindi, di sicuro la tassa piatta all’italiana sugli autonomi non ridurrà l’evasione fiscale ma, al contrario, tenderà a favorirla. In che misura ce lo diranno i dati.
Nel 1979 Antonio Pedone, uno dei più importanti studiosi di scienza delle finanze, dava al suo lavoro sugli effetti della riforma tributaria un titolo significativo: Evasori e tartassati. I nodi della politica tributaria italiana. Riprendendo il titolo, potremmo dire che il sistema tributario italiano nel frattempo non è migliorato, ma anzi peggiorato, almeno dal punto di vista dei principi costituzionali dell’eguaglianza tra contribuenti e della progressività. Oggi il sistema non si presenta più binario nel senso di Pedone, ma ternario. Accanto ai tartassati, lavoratori dipendenti e pensionati, ed evasori fiscali incalliti, ora peraltro facili da scoprire con l’arma della tecnologia, il sistema politico ha creato una terza categoria, quella dei contribuenti privilegiati all’ombra della mitica flat tax. Invece di correggere le distorsioni originarie, se ne sono create altre ben più pericolose non solo per la tenuta dei conti pubblici, ma anche per la tenuta della società intera, perché i privilegi fiscali ingiustificati e ingiustificabili minano le basi di ogni convivenza civile.