“Delle belle liste“, fatte di “persone esperte, consiglieri comunali e regionali giovani e in gamba”, con “un nucleo forte e di grande qualità“. Così Carlo Calenda ha definito le proposte per Camera e Senato del cartello Azione–Italia viva. E forse non poteva dire altrimenti, dopo aver fatto di “serietà” e “competenza” i mantra – ripetuti allo sfinimento – della sua campagna elettorale. Andando a spulciare gli elenchi dei candidati, però, emerge un quadro che mal si accosta all’hashtag #ItaliaSulSerio scelto dal polo liberista: da Nord a Sud, sotto le insegne del listone trovano posto indagati, imputati e prescritti, trasformisti e riciclati, ras locali ed eminenze grigie. Casi clamorosi come quello di Massimo Cassano, ex Forza Italia e Nuovo centrodestra e poi (fino a ieri) vicinissimo a Michele Emiliano (che Calenda continua definire “il peggior governatore d’Italia”). O quello di Giuseppe Castiglione, capolista nel collegio di Catania: anche lui ex alfaniano e appena uscito da Forza Italia, re delle preferenze in Sicilia orientale, imputato per corruzione elettorale nel processo sulla gestione del Cara di Mineo. Ma i vecchi arnesi della politica imbarcati in tutto il Paese da Renzi e Calenda per assicurarsi i loro pacchetti di voti – con buona pace dell’immagine di freschezza e modernità che vorrebbe dare la lista – sono molti di più. Vediamone qualcuno.
Come capolista alla Camera in Liguria troviamo Cosimo Ferri, storico leader correntizio della magistratura prestato (a tempo indeterminato) alla politica. Passato da Forza Italia al Pd e poi a Italia viva, sottosegretario alla Giustizia nei governi Letta, Renzi e Gentiloni, è uno dei nomi al centro dello scandalo nomine: da deputato in carica, insieme al collega Luca Lotti, discuteva con l’ex pm Luca Palamara di chi piazzare a capo della Procura di Roma, l’ufficio che indagava lo stesso Lotti. Per questo è ancora sotto procedimento disciplinare da parte del Csm. Lo stesso Calenda di recente lo ha definito “non propriamente estraneo alle correnti e al sistema Palamara”, salvo poi imbarcarlo su input dell’alleato: il suo pacchetto di voti, d’altra parte, è di tutto rispetto. Ma lo è ancora di più quello di Marcello Pittella, capolista al Senato in Basilicata: l’ex governatore, forte di un consenso stellare nel suo collegio, si è accasato in Azione assieme al fratello Gianni (ex vicepresidente del Parlamento europeo) dopo che il Pd gli ha fatto l’affronto di non candidarlo. Sul groppone ha due condanne della Corte dei Conti per utilizzo illecito di rimborsi pubblici e un processo pendente per falso ideologico e abuso d’ufficio, quello sulle nomine nella sanità lucana: la procura di Matera ha impugnato l’assoluzione in primo grado del dicembre scorso.
All’uninominale di Bergamo per il Senato ecco Andrea Moltrasio, ex presidente del consiglio di sorveglianza di Ubi Banca: imputato insieme agli ex vertici per ostacolo alla vigilanza, è stato assolto a ottobre 2021, ma anche qui la Procura ha impugnato la sentenza. Sempre per il Senato, nel plurinominale Sicilia 1 c’è Giancarlo Garozzo di Italia viva, sindaco di Siracusa dal 2013 al 2018: finito a processo per aver indotto un pubblico ufficiale a presentare firme false a sostegno di una sua lista civica in campagna elettorale, si è salvato a maggio 2021 grazie alla prescrizione. All’uninominale di Gela invece la scelta è ricaduta su Michele Termini, ex sindaco di Campobello di Licata (Agrigento) sconfitto alle ultime comunali, tra i 47 imputati nel processo sul presunto sistema corruttivo che ruotava intorno a Girgenti Acque, la società (poi fallita) che gestiva il servizio idrico nell’agrigentino e di cui Termini era consigliere d’amministrazione. Infine, capolista in Molise per la Camera troviamo Giuseppina Occhionero, deputata traslocata da Liberi e uguali a Italia viva subito prima di finire coinvolta nel caso di Antonello Nicosia, l’attivista radicale che – entrando insieme a lei in carcere – veicolava messaggi ai boss mafiosi: per la vicenda è ancora a processo per falso, accusata di aver fatto entrare Nicosia nei penitenziari senza autorizzazione.
C’è anche chi guai giudiziari non ne ha, ma è in grado di imbarazzare per motivi più “politici” la lista dei seri e competenti. Per esempio Massimiliano Stellato, seguace di quel Massimo Cassano di cui abbiamo già parlato, al secondo posto nel collegio Puglia 3 della Camera dietro la ministra Mara Carfagna: nel 2018 organizzò una protesta dei gilet gialli contro il caro-benzina a Taranto, rivendicando il successo con tanto di comunicato stampa. All’uninominale del Senato in Abruzzo c’è invece Gianfranco Giuliante, ex presidente della controllata regionale dei trasporti (Tua) e soprattutto iscritto alla Lega fino al novembre 2021: ne uscì con una lettera aperta a Salvini dicendo che non avrebbe aderito ad altri partiti, proposito che si è evidentemente rimangiato. Al secondo posto del plurinominale in Sardegna ecco Elvira Evangelista: lei fino a ieri era deputata addirittura del Movimento 5 stelle, la criptonite dei renzian-calendiani. Fino al gennaio scorso si batteva per l’ergastolo ostativo e la legge Spazzacorrotti, poi si è riscoperta convinta garantista. Un altro campione di giravolte è Mauro Avvenente, al terzo posto nel plurinominale Camera in Liguria: già capogruppo del Pd, primo gruppo di opposizione, al sindaco Marco Bucci nel consiglio comunale di Genova, dopo il passaggio a Italia viva si è candidato alle ultime comunali proprio nella lista civica di Bucci. Che una volta rieletto, per ricompensarlo, lo ha fatto assessore. Se mai venisse eletto, Renzi e Calenda sono avvertiti: meglio tenerlo d’occhio.