Proseguono silenziose le pressioni del governo ucraino nei confronti del Vaticano. Il presidente ucraino Zelensky vorrebbe il Papa a Kyiv, possibilmente prima del viaggio del pontefice in Kazakistan (che avrà luogo il 13 settembre). Francesco non ha deciso. Preferirebbe una missione sia a Kyiv che a Mosca per incoraggiare una trattativa di pace. E’ un braccio di ferro in corso dietro le quinte da mesi. Papa Francesco è chiaro e netto nella sua solidarietà con il popolo ucraino. Ha denunciato i massacri e le sofferenze inflitte dall’esercito russo al popolo ucraino e ha mandato i suoi cardinali per portare aiuto umanitario ed esprimere la sua vicinanza al dolore di questa nazione.

Ma il pontefice argentino non aderisce alla linea politica di Zelensky. Francesco, che ha esortato il patriarca russo a non essere il “chierichetto di Putin”, è altrettanto determinato a non essere il “cappellano dell’Occidente”. Lo ha fatto scrivere nero su banco sull’Osservatore Romano. Dal punto di vista vaticano Zelensky vorrebbe arruolare il papa sotto le bandiere di una narrativa che vede unicamente l’Ucraina come aggredita (cosa del tutto vera), Putin come bestia demoniaca metafisica e la Russia come stato da ridurre ad una condizione tale da non poter ripetere mai più una iniziativa militare come quella del 24 febbraio (Lloyd Austin, ministro della Difesa statunitense, dixit).

È la narrativa che con forti colorature di marketing corre per le capitali della Nato e dell’Unione europea. Di questa narrativa fa parte l’eliminazione di qualsiasi analisi del “prima”, cioè dei movimenti geopolitici che sono sfociati nell’attuale guerra, e qualsiasi riflessione sugli effetti che può provocare in Europa, in Asia, nel mondo una guerra totale combattuta sfiorando il conflitto nucleare.

Francesco non condivide questa impostazione. E’ evidentemente fuori dal coro. Come fuori dal coro sono la gran quantità di stati che rappresentano la maggioranza della popolazione del pianeta e non intendono schierarsi né con la Russia né con l’Occidente. Perché non sono convinti da una narrazione che rappresenta una tragedia internazionale come un film western, in cui lo sceriffo con i suoi deve sterminare la banda dei cattivi.

La guerra in corso è un conflitto tra Occidente e Russia e come tale va valutato. Va messo da parte – ha detto esplicitamente Francesco a giugno – lo “schema di Cappuccetto Rosso”. E’ inutile fingere che la Nato non si sia allargata nei decenni seguiti alla fine dell’Urss, portando il peso del blocco politico-militare ai confini della Russia. Non ha senso nascondersi che Washington, ai tempi di George W. Bush – negli anni del delirio di onnipotenza che spinse gli Usa a credere di poter occupare Afghanistan e Iraq contemporaneamente – aveva pensato di inserire nel sistema Nato anche l’Ucraina. Fu bloccata dalla Germania di Angela Merkel, che ancora oggi rivendica la giustezza del suo “no”, e dalla Francia nel 2008. Tuttavia l’impulso espansionistico è continuato. L’Occidente si è messo ad “abbaiare alle porte della Russia”, ricorda Francesco. Si è voluto dimenticare l’indicazione realistica di Henry Kissinger, secondo cui l’Ucraina doveva essere zona neutra tra Russia e Occidente. Con il risultato che geopoliticamente la Russia è stata “accerchiata e umiliata”, come evidenziò da subito lo storico Andrea Riccardi.

A rompere l’incanto delle smemoratezze soccorre la chiarezza del dibattito negli ambienti politici o militari statunitensi. “La Nato si è stabilita nello spazio che trent’anni fa apparteneva all’Unione sovietica”, afferma spassionatamente Elbridge Colby, vice-assistente al segretario alla Difesa durante l’amministrazione Trump. Tutto questo non giustifica minimamente la guerra inflitta da Mosca alla “martoriata Ucraina”, per citare Francesco. Ma il Vaticano non perde mai lo sguardo d’insieme di una vicenda sia dal punto di vista storico sia dal punto di vista geopolitico.

L’ultima telefonata tra Zelensky e Francesco è stata seguita da un tweet del presidente ucraino, in cui si affermava che il “nostro popolo ha bisogno dell’appoggio dei leader spirituali mondiali, che dovrebbero trasmettere al mondo la verità sulle azioni orrende commesse dall’aggressore in Ucraina”. E’ un tweet che rappresenta plasticamente le sponde diverse su cui si trovano papa Francesco e la politica di Kyiv. Al Vaticano non piace che si dica al pontefice ciò che dovrebbe fare, così come non piace che le autorità statali ucraine abbiano censurato televisivamente la Via Crucis del Papa perché auspicava la pace tra ucraini e russi.

Francesco ha già denunciato più volte gli orrori dell’invasione russa. Ma la sua prospettiva va al di là. Il pontefice non è d’accordo con una politica mirata alla “vittoria”, dai contorni indefiniti, che si sta traducendo in una continua escalation. Il segretario di stato vaticano, cardinale Parolin, ha chiarito più volte che la difesa armata nei confronti di un aggressore è legittima, ma ha anche ripetuto che deve essere “proporzionata”. In altre parole è irresponsabile una strategia che porta ad una spirale incontrollabile di azioni militari sempre più pericolose per il mondo intero.

Non sfugge al Vaticano che le azioni di sabotaggio da parte ucraina sul territorio russo (col tempo si capirà se l’attentato alla figlia dell’ideologo panrusso Dugin ne fa parte) sembrano quasi avere lo scopo di spingere la Russia ad un passo falso per coinvolgere direttamente la Nato nella guerra. Già in primavera Zelensky tentò di imporre una no fly zone sui cieli ucraini, attuata dagli aerei Nato. Francesco vuole che si faccia un serio tentativo per arrivare ad un cessate il fuoco. Zelensky ha ribadito che le armi possono tacere soltanto se la Russia si ritira completamente da tutti i territori ucraini occupati (anche la Crimea annessa nel 2014 e che ucraina non è mai stata per storia, cultura e tradizione). Su questa divergenza geopolitica profonda si basano le difficoltà di un viaggio papale a Kyiv senza una eguale missione a Mosca. Putin d’altronde è convinto che, senza un segnale chiaro da parte di Washington a favore di un negoziato, abbia poco senso trattare con Zelensky.

Alla fine Francesco deciderà personalmente come e quando muoversi. Ma la sua idea che sia venuto il momento di un nuovo ordine mondiale, patteggiato da tutti, resta immutata.

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