I lavoratori del porto di Felixstowe, nel Regno Unito, hanno iniziato domenica 21 agosto uno sciopero di otto giorni, chiedendo il rinnovo contrattuale e l’aumento degli stipendi fermi da anni. Uno sciopero che è solo l’ultimo di una catena che ha attraversato i trasporti e vari altri settori da diverse settimane, e che riguarda soprattutto i salari che i sindacati chiedono di adeguare ad un livello di inflazione da record – andato oltre il 10% a luglio – e che si prevede possa arrivare al 13% in ottobre: il più alto fra i Paesi del G7. Ad incrociare le braccia del porto di Felixstowe sono stati gruisti, operatori di macchinari e stivatori, indossando il gilet rosso del sindacato Unite. Con quasi 2mila lavoratori, il porto di Felixstone è il più grande porto per container del Regno Unito. Situato a 150 km a nord-est di Londra, il porto gestisce una media di 4 milioni di container l’anno, circa il 48% di tutti i container diretti nel Regno Unito passano nel il porto di FelixStowe. L’ultimo sciopero nello scalo portuale risale al 1989, durante il terzo governo della conservatrice Margaret Thatcher.
“I dock di Felixstowe sono estremamente redditizi. Le cifre più recenti mostrano che nel 2020 hanno realizzato 61 milioni di sterline (circa 72 milioni di euro) di profitti”, ha dichiarato la segretaria del sindacato Unite, Sharon Graham. “La sua casa madre, la CK Hutchison Holding Ltd, è così ricca che quello stesso anno ha distribuito 99 milioni de sterline di dividendi ai suoi azionisti. Credo quindi che sia in grado di dare ai lavoratori di Felixstowe un giusto incremento di salario“, ha aggiunto Graham.
La controparte imprenditoriale ha detto di aver chiesto al sindacato di sospendere lo sciopero e di sedere a un tavolo negoziale “per trovare una soluzione”. L’impresa ha detto di aver offerto un aumento “giusto” dell’8% per gli stipendi medi e del 10% per quelli più bassi e di temere ora per gli approvvigionamenti. Secondo alcuni analisti, lo sciopero non dovrebbe avere un impatto troppo forte sulle forniture di merci, perché il mercato è abituato alle perturbazioni dopo la crisi pandemica del Covid. Le prime conseguenze, però, non hanno tardato ad arrivare. Secondo quanto riportato da Reuters, infatti, in vista di possibili ritardi nelle consegne, alcuni rivenditori avrebbero già comunicato la volontà di reindirizzare le merci attraverso altri porti per container o di utilizzare trasporti alternativi per garantire che i prodotti rimangano disponibili.