di Antonio Pagnanelli*
La ricostruzione di borghi e centri storici nel cratere del sisma del 2016 è sostanzialmente ancora al palo, perché una cittadina è ben altro che i suoi edifici e le sue strade: è un insieme di socialità e identità la cui ricostruzione si presenta molto complessa. Questo, in sintesi, quanto emerge delle cifre della ricostruzione, nonostante gli indubbi passi avanti di questi anni.
Questo della ricostruzione dei territori del centro Italia colpiti dagli eventi sismici del 2016 è un tema che ci interroga tutti, lo fa oramai da sei anni, ma le risposte che stiamo mettendo in campo non sono purtroppo soddisfacenti. Nelle scorse settimane è stato presentato l’ultimo rapporto della struttura commissariale: i numeri elaborati raccontano di una situazione in costante miglioramento, con tempi di approvazione e realizzazione degli interventi sempre più brevi. La semplificazione delle procedure e il reperimento di nuovi fondi per affrontare le crisi che si stanno nel frattempo presentando sembrano gli ingredienti fondamentali del successo raggiunto di questi ultimi tre anni e mezzo.
Ma vediamo ora qualcuno di questi numeri e cerchiamo di leggerli in un orizzonte più ampio di quello dettato dalla contingenza. Gli edifici di edilizia privata dichiarati inagibili a seguito delle scosse del 2016 e del 2017 sono poco più di 80.000 (di cui 45.000 nelle Marche) per i quali, ad oggi, son stati presentati circa 22.000 progetti (12.000 nelle Marche). Venendo alla regione Marche, per la quale abbiamo qualche dato in più, delle 12.000 domande di contributo ne sono state evase circa 6.000, di cui 2.000 hanno concluso i lavori. In sei anni, pertanto, sono stati autorizzati mille interventi all’anno e ne sono stati realizzati 350: di questo passo, i progetti per tutti gli edifici danneggiati saranno autorizzati in 45 anni e realizzati in 130.
La gentile lettrice o il gentile lettore penserà probabilmente (e legittimamente) che quei numeri saranno destinati ad aumentare ancora, viste le accelerazioni rilevate durante la gestione dell’attuale commissario; ma così non è. I richiami dello stesso commissario sul ridotto numero di professioniste/i e imprese edili effettivamente attive nella ricostruzione sono molto di più di una semplice spia d’allarme e denunciano la riscoperta del collo di bottiglia che si riteneva oramai superato con lo spostamento della funzione di certificazione del danno e del contributo dagli uffici speciali regionali (gli Usr) ai progettisti, attuato con l’approvazione della oramai famosa ordinanza n. 100/2020.
Da queste semplici constatazioni appare chiaro che, in uno scenario di ricostruzione lungo 65 anni (ammesso che si riesca a raddoppiare la velocità di un sistema che già adesso appare al limite delle sue possibilità) diventi fondamentale la capacità di confrontarsi tra tutte le componenti sociali sulle scelte da fare. In mancanza di un luogo di discussione, le istanze legate alle questioni identitarie e del vivere in comunità, tra cui la tutela del patrimonio artistico e culturale di quei territori, sono destinate a non avere un’adeguata rappresentanza. Da questo punto di vista, la foto è impietosa: la ricostruzione nei borghi e nei centri storici è praticamente al palo, mentre gli interventi di recupero e restauro di chiese ed edifici monumentali sono ancora quasi tutti sulla carta (a meno di quelli realizzati con risorse private).
Per quanto concerne i recuperi dei borghi, la situazione di stallo in cui si trovano attualmente è sostanzialmente legata ad un “peccato originario” della normativa sulla ricostruzione: nei territori montani investiti dai drammatici eventi sismici del 2016 vi è una struttura amministrativa, con comuni anche di poche centinaia di abitanti, che di fatto non era (e non è tuttora) in grado di produrre i piani di recupero relativi ai propri centri storici, obbligatori e propedeutici agli interventi diretti di ricostruzione.
Per superare questo ostacolo, con l’ordinanza 107 si introdusse il programma straordinario di ricostruzione (il Psr), uno strumento più agile di quello urbanistico, con il quale si è voluta accelerare la ricostruzione dei cosiddetti interventi “conformi” ai preesistenti quanto a ingombro planivolumetrico, collocazione e configurazione degli esterni, anche in deroga ai vigenti piani e regolamenti urbanistici. Con questa previsione, che ha raccolto l’intenzione di 39 comuni su 66 di dotarsi di un Psr, si è compiuta la prima e unica “semplificazione” del processo di ricostruzione, ma a scapito della conservazione e della tutela del patrimonio culturale. Infatti, nelle aree in cui diventeranno vigenti i Psr potranno essere realizzati interventi di ristrutturazione edilizia, così come definiti dal Dpr 380/2000 (interventi che prevedono, tra le varie, la possibilità di utilizzare materiali differenti da quelli dell’edificio originario) su edifici vincolati senza il bisogno del parere della soprintendenza (chiamata solamente ad esprimersi in fase di approvazione del Psr). È chiaro, anche in questo caso, il rischio di perdere interi brani di tessuto urbano di edilizia storica sostituiti da nuove edificazioni con scheletri in cemento armato e blocchetti in laterizio che conservano dell’originario solo il volume esteriore e la forma delle aperture, senza che siano stati presi nella dovuta considerazione tutti gli aspetti legati alla conservazione.
Alla luce di quanto sommariamente scritto sinora, è evidente che l’accantonamento di aspetti ritenuti meno pressanti come quelli della tutela della nostra memoria, ma solo perché non adeguatamente tenuti in considerazione, attuato tramite la cosiddetta semplificazione, non porta ad un sostanziale taglio dei tempi della ricostruzione. I borghi danneggiati che dobbiamo recuperare sono lì a ricordarci che una città è fatta di ben altro oltre le case, i luoghi produttivi e le strade su cui si affacciano. È fatta anche di relazioni, di memorie e di miti che tengono unite le persone: elementi che andranno ben oltre le attività di chi sta amministrando (e di chi sta scrivendo) ma che non possiamo permetterci di perdere.
*Consigliere nazionale Italia Nostra e presidente della sezione di Macerata