Secondo l'avvocato della vittima, Giampiero Barile, l'uomo "esercitava nei suoi confronti un controllo ossessivo". Davanti al giudice l’indagato, difeso d’ufficio dall’avvocato Enrico Buono, si era avvalso della facoltà di non rispondere
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna, Andrea Salvatore Romito, ha convalidato l’arresto e disposto la custodia cautelare in carcere per Giovanni Padovani, il 27enne arrestato per l’omicidio della ex compagna Alessandra Matteuzzi, colpita e uccisa a martellate martedì sera a Bologna. L’udienza si era tenuta questa mattina (26 agosto) e il gip si era riservato la decisione. Davanti al giudice l’indagato, difeso d’ufficio dall’avvocato Enrico Buono, si era avvalso della facoltà di non rispondere.
“La gravità dei fatti è attestata dall’ ampia estensione temporale della condotta persecutoria, posta in essere a fronte di un rapporto sentimentale di modesta durata e ridotta frequentazione e, dunque, indicativa del desiderio ossessivo nutrito dal detenuto e della sua incapacità di accettare la cessazione della relazione, dalla quotidianità ed intensità delle molestie e dalla multiformità delle condotte assunte”. E’ uno dei passaggi dell’ordinanza con cui il gip di Bologna ha convalidato l’arresto per Padovani. Nel testo del provvedimento si legge inoltre che il 27enne deve restare in carcere perché è “l’unico presidio in grado di tutelare la collettività (e, in particolare, i familiari della Matteuzzi, esposti al rischio di ritorsioni o gesti connotati da pari carica aggressiva) dal ripetersi di gesti analoghi”.
Comportamenti, quelli messi in atto da Padovani, che sono spaziati “da atti lesivi del patrimonio a insulti e minacce” fino all’omicidio, quando il 27enne si è “appositamente recato a Bologna da Senigallia solo perché la Matteuzzi aveva omesso di rispondere alle sue chiamate”. Con sè ha portato nascosto in uno zaino, “un martello a scopo di difesa”– a suo dire- con il quale ha poi colpito ferocemente la vittima. Per il giudice, Padovani è animato “da un chiaro intento vendicativo“. “Visto che non avevo ricevuto ancora risposta- ha dichiarato Padovani- mi sono sentito nuovamente usato e manipolato, quindi decidevo di andare di nuovo a Bologna per chiarire, perché non capivo il suo comportamento dopo che il giorno prima eravamo stati benissimo insieme”. Contro la donna, dopo che il martello si rompe, usa prima calci e pugni, poi una panchina in ferro presente nell’atrio del condominio. Un “intensità del dolo” interrotta solo dall’intervento di alcuni vicini, che impedivano di continuare a infierire e scappare.
L’indagato – si legge ancora nell’ordinanza- è “animato da un irrefrenabile delirio di gelosia e incapace sia di accettare con serenità il verificarsi di eventi avversi, ma pur sempre rientranti nelle ordinarie dinamiche relazionali (la cessazione di un rapporto, per di più caratterizzato da incontri sporadici), sia di attivare l’ordinario sistema di freni inibitori delle proprie pulsioni aggressive”.
Elementi che indicano una “eccezionale pericolosità e assoluta incontrollabilità o prevedibilità delle azioni e non consentono di riporre alcuna fiducia sulla spontanea adesione da parte del prevenuto a prescrizioni” e che dunque rendono il carcere – anche per proteggere la famiglia della vittima – l’unica soluzione possibile.
L’ avvocato dei familiari della vittima, Giampiero Barile, ha riferito alcuni specifici episodi riguardanti il 27enne: “L’indagato esercitava nei confronti della vittima un controllo ossessivo. La teneva sotto scacco a distanza, chiedendole spessissimo di mandare foto e video ogni dieci minuti del luogo in cui si trovava e delle persone che frequentava spinto dalla gelosia. In alcune situazioni le chiedeva anche di filmare l’orario dal luogo in cui si trovava per verificare che diceva la verità”. Episodi che sarebbero stati riferiti nella denuncia per atti persecutori presentata dalla vittima lo scorso 29 luglio ai carabinieri, a cui sono seguite nel frattempo alcune integrazioni.
Il procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato, non pensa che gli inquirenti abbiano qualcosa da rimproverarsi: “Ovviamente l’esito infausto nessuno lo poteva, ragionevolmente, prevedere. I fatti ci lasciano sconcertati, ma noi abbiamo fatto tutto con impegno e celerità – ha detto in un’intervista al Corriere della Sera – la denuncia è stata immediatamente iscritta e assegnata a una collega che, pur essendo in ferie, ha fatto partire gli accertamenti per i riscontri. La denuncia, va chiarito, evocava episodi di stalking semplicemente molesto”.