Senza interventi immediati, che il governo uscente dovrebbe concordare con i partiti in campagna elettorale, settori strategici che vanno dalla siderurgia alla ceramica passando per la produzione di vetro e carta andranno gambe all’aria. Con i prezzi del gas alla borsa di Amsterdam oltre i 320 euro al megawattora contro i 27 euro del 25 agosto 2021, Confindustria e i sindacati si ritrovano dalla stessa parte della barricata: sia le imprese energivore sia Fim e Fiom chiedono aiuti pubblici che consentano nel breve periodo di contenere i costi evitando in settembre fermi produttivi che rischiano di sfociare in un rapido aumento della cassa integrazione e nel mancato rinnovo dei contratti a termine. “Servono garanzie pubbliche per il rinnovo delle forniture e un prezzo amministrato almeno per le aziende gasivore”, dice a ilfattoquotidiano.it il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi. Mentre Giovanni D’Anna, dirigente di Confindustria Ceramica, ricorda che è ancora fantasma il decreto ministeriale che avrebbe dovuto fissare i prezzi di vendita del gas prodotto in Italia che sarà acquistato dal Gse e ceduto agli energivori come previsto dal decreto Bollette della scorsa primavera.
Un tetto solo per gli energivori? – Il tetto europeo ai prezzi, a cui tutte le maggiori forze politiche sono favorevoli, incontra ancora l’opposizione di diversi Paesi Ue e la proposta della Commissione in materia è attesa solo per ottobre. “Rischia di arrivare a buoi già scappati“, chiosa Gozzi. Quanto alla proposta del Pd di un tetto nazionale, oltre agli evidenti problemi di realizzabilità (gli operatori esteri sarebbero felici di approfittarne) i costi per colmare il divario tra il prezzo di mercato e quello deciso per decreto sarebbero stratosferici. Per il numero della federazione delle imprese siderurgiche, dunque, la possibile soluzione è fare una scelta e applicare il calmiere solo ai consumi degli energivori, “quelli per i quali il gas è materia prima essenziale”. L’idea è destinata a non piacere al terziario e alle pmi (“che comunque già godono di crediti di imposta del 25% sulla spesa per il gas”) ma ha una ratio: “Credo che il costo sarebbe inferiore a quello che il Paese dovrà affrontare se ci saranno fermate generalizzate di interi settori che causeranno problemi sociali e costi di sistema. Bisogna salvaguardare gli asset strategici nazionali. Parliamo di aziende che esportano il 50-55% della produzione e per le quali non onorare gli ordini vuol dire perdere clienti e quote di mercato che sarebbero difficili da recuperare”. A tutto vantaggio di produttori statunitensi o asiatici non sfiorati dalla crisi energetica europea.
Anche i sindacati chiedono interventi immediati – Una parte importante delle coperture, continua Gozzi, potrebbe arrivare – come accaduto per l’ultimo decreto Aiuti – dal gettito Iva “gonfiato” dall’inflazione, oltre che dalla tassa sugli extraprofitti che andrebbe però modificata visto che nella forma attuale non ha dato i risultati attesi. Certo “per varare misure con questo impatto serve il consenso generalizzato di tutti. Ma credo che possa esserci: fino a una settimana fa nessun partito aveva messo al centro questo problema, ora invece se ne occupano tutti”. E anche i sindacati, pur non si sbilanciandosi sulle singole misure, concordano sulla necessità di intervenire in prima battuta per i big: “Per operai e impiegati dell’industria energivora, a partire dalla siderurgia, si annuncia una situazione drammatica non solo per l’ex Ilva ma per tutti gli impianti”, ha scritto in una nota Michele De Palma, segretario generale Fiom-Cgil, chiedendo a Palazzo Chigi di aprire un tavolo per azioni “immediate e condivise” visto che “nel giro di pochi giorni avremo fermate produttive lunghe e cassa integrazione per i lavoratori per i costi dell’energia”. Anche Roberto Benaglia della Fim Cisl ha chiesto di fare presto perché “un terzo delle imprese va incontro a seri problemi produttivi nel mese di settembre”.
“Garanzie Sace per i nuovi contratti di fornitura” – La seconda richiesta degli energivori nasce da un problema emerso in questi giorni. Con questi prezzi e questa volatilità, i grandi fornitori di energia sono restii a stipulare nuovi contratti di fornitura per l’anno termico che inizia l’1 ottobre. “Chiedono fideiussioni o anticipi per due-tre mesi di fornitura”, racconta Gozzi. “Ma con il gas aumentato di oltre 10 volte in un anno si tratta di uno sforzo finanziario incredibile: un’acciaieria che nel 2021 spendeva per il gas 5 milioni al mese ora ne paga 50 e dovrebbe mettere sul piatto garanzie per 100-150 milioni. Occorre mettere in campo le garanzie sovrane della Sace, come si fece nel 2020 per superare la crisi di liquidità. Il rischio è limitato perché parliamo di settori che non hanno certo problemi di merito di credito, sono in gran parte sani e pieni di ordini”. Sottoscrive l’appello Marco Ravasi, presidente di Assovetro, secondo cui “il tema oggi è l’assunzione del rischio, che nessuno è in grado di assorbire come singola impresa. Deve occuparsene il governo”.
Manca il decreto per il gas nazionale a prezzi calmierati – Infine c’è il nodo del cosiddetto “gas release”, un provvedimento che gli energivori chiedevano da tempo e che in aprile è stato inserito nel decreto bollette: il Gestore dei servizi energetici (Gse), società che fa capo al Tesoro, è stato incaricato di sondare la disponibilità delle aziende titolari di concessioni per l’estrazione di gas offshore e onshore (anche quelle al momento non sfruttate) in Italia a cederlo “a un’equa remunerazione” con contratti a lungo termine in modo che lo stesso Gse possa poi venderlo agli energivori a prezzi accettabili. Problema: a cinque mesi da quel provvedimento manca il decreto del ministero dell’Economia e della Transizione ecologica chiamato a fissare le condizioni. “Speravamo che quella misura ci desse un po’ di ossigeno”, spiega D’Anna, responsabile operativo di Gas intensive per Confindustria Ceramica. “Si parlava di 2,2 miliardi di metri cubi (ora ridimensionati a 1,6) a prezzi intorno ai 25 centesimi al metro cubo contro i 3,5 euro del mercato. “Ma i due bandi del Gse sono stati emanati a luglio e agosto e solo a settembre avremo l’esito, che stando al decreto avrebbe dovuto arrivare a maggio. Considerato che poi sono previsti 6 mesi per il processo autorizzativo, bisogna accelerare: deve occuparsene il governo in carica per l’ordinaria amministrazione”.