L’arresto di Giovanni Padovani, il 27enne calciatore accusato dell’omicidio della ex compagna Alessandra Matteuzzi, è stato convalidato. Dopo l’udienza del 26 agosto, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna, Andrea Salvatore Romito, ha deciso. Padovani, presente in aula, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Ora, dall’ordinanza di convalida dell’arresto arrivano dettagli sul femminicidio: il 27enne ha colpito Matteuzzi con un martello che aveva portato con sé, ma anche “con calci e pugni in viso e anche con la panchina che era sotto al porticato condominiale vicina all’ingresso” del palazzo in via dell’Arcoveggio a Bologna, dove abitava la vittima. Secondo il gip proprio “l’aver impiegato, dopo il danneggiamento dell’utensile, prima la semplice forza fisica e poi una panchina in ferro li reperita” dimostra che Padovani, se lasciato libero, potrebbe uccidere ancora. Elevato rischio di recidiva a cui si aggiunge “l’intensità del dolo, attestata dall’interruzione della sequenza omicidiaria solo grazie all’intervento di alcuni vicini, che impedivano al giovane di allontanarsi, l’elevato numero di colpi inferto, le aree del corpo attinte, chiara sede di organi vitali, l’esposizione al rischio, poi effettivamente concretizzatosi, della sorpresa in flagranza”. “Da ultimo” ad incidere è “la futilità o addirittura assenza dei motivi a delinquere – e la personalità dell’indagato, animato da un irrefrenabile delirio di gelosia e incapace sia di accettare con serenità il verificarsi di eventi avversi, ma pur sempre rientranti nelle ordinarie dinamiche relazionali (la cessazione di un rapporto, per di più caratterizzato da incontri sporadici), sia di attivare l’ordinario sistema di freni inibitori delle proprie pulsioni aggressive, sono, se valutati nel loro complesso, manifestazione di eccezionale pericolosità e assoluta incontrollabilità o prevedibilità delle azioni”. Dell'”irrefrenabile delirio di gelosia” di Padovani aveva parlato anche la stessa Matteuzzi ai carabinieri lo scorso 29 luglio, quando aveva deciso di denunciarlo: “Il nostro rapporto si basava sempre sull’invio da parte mia dei video che lui mi aveva chiesto e di videochiamate, ma questo non è bastato a frenare la sua gelosia, perché i dubbi sulla mia fedeltà non sono mai passati. Anche una semplice foto da me postata sui social e che inquadrava le mie scarpe appoggiate sul cruscotto dell’auto al rientro da una trasferta di lavoro era stata motivo di una sua scenata“. Non solo, Matteuzzi, sempre ai carabinieri, nella denuncia-querela aveva raccontato di aver scoperto, nel mese di febbraio, di come tutte le sue password fossero state modificate: “Ho potuto constatare che erano state modificate sia le email che le password abbinate ai miei profili, sostituite con indirizzi di posta elettronica e password riconducibili a Padovani e ho rilevato anche che il mio profilo Whatsapp era collegato a un servizio che consente di visualizzare da un altro dispositivo tutti i messaggi da me inviati. Ne ho quindi dedotto che che nei giorni in cui era stato da me ospitato era riuscito a reperire tutte le mie email e le mie password che avevo memorizzato nel telefono”. Nella denuncia Matteuzzi aveva riferito anche delle volte in cui il calciatore si era presentato sotto casa: “Temo la sua rabbia. Ho timore di ritrovarmelo davanti ogni volta che torno a casa”. Il femmincidio si è consumato il 23 agosto, sotto casa della donna. Matteuzzi è morta per una emorragia dovuta allo sfondamento del cranio. Il 27enne resterà nel carcere della Dozza dove si trova da mercoledì scorso.
Cronaca Nera
Alessandra Matteuzzi “è stata colpita con una panchina di ferro che era all’ingresso del suo palazzo”. Ai carabinieri aveva detto: “Temo che Padovani venga sotto casa”
Dall'ordinanza di convalida dell'arresto arrivano dettagli sul femminicidio. Secondo il gip proprio "l'aver impiegato, dopo il danneggiamento dell’utensile, prima la semplice forza fisica e poi una panchina in ferro li reperita" dimostra che Padovani, se lasciato libero, potrebbe uccidere ancora. Elevato rischio di recidiva a cui si aggiunge "l'intensità del dolo, attestata dall’interruzione della sequenza omicidiaria solo grazie all’intervento di alcuni vicini"
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