I rincari che hanno scatenato proteste in molte città c'entrano poco con Mosca e gli scossoni del mercato energetico. Perché le tariffe del servizio sono dettate dai singoli esercenti, unici gestori di reti dalle quali è difficile staccarsi. Così il prezzo sale anche dove il 70% del calore viene dal termoutilizzatore dei rifiuti, come a Brescia. "Servono regole nazionali, paghiamo il calore dei rifiuti come fosse prodotto col gas o l'elettrico", avverte Danilo Scaramella di Legambiente. Un appello che i sindaci di Torino, Milano, Brescia e Varese hanno rivolto al governo, ma che ad oggi rimane inascoltato
L’aumento dei prezzi di gas ed energia elettrica mina i bilanci di famiglie e aziende con bollette più che raddoppiate, attività che chiudono e cittadini che non ce la fanno a pagare. Ma se per la maggior parte di loro si tratta dell’effetto diretto dei rincari seguiti al conflitto in Ucraina, per altri è più difficile prendersela con Mosca o col mercato. Parliamo dei teleriscaldati, utenti di un servizio che, oltre all’ambiente, avrebbe dovuto fare bene alle loro tasche e invece li sta mettendo in ginocchio con costi che arrivano a superare anche quelli del riscaldamento a gas. Inevitabili le proteste e proposte come l’auto sospensione delle bollette nella Torino dove il teleriscaldamento conta mezzo milione di utenti e i comitati degli inquilini minacciano esposti in procura contro il gestore locale.
Addirittura “una truffa”, secondo alcuni. Senz’altro un paradosso. Perché le reti di tubature che al posto del gas portano acqua calda o vapore per distribuire calore agli edifici collegati vantano migliore efficienza e risparmio energetico, anche grazie alla possibilità di utilizzare fonti rinnovabili. Per questo hanno ricevuto incentivi nazionali ed europei e altri sono in arrivo con il Pnrr. Per questo sono cresciute, soprattutto in regioni e città dove era più sentita l’urgenza di un’alternativa alle caldaie a gas vista la qualità dell’aria. Il tutto con un vantaggio economico per gli utenti che dovrebbe salire man mano che aumenta la quota di energie alternative impiegate. Insomma, nell’Europa che cerca alternative al gas russo, i teleriscaldati dovrebbero essere più al riparo di altri, giusto? Sbagliato, al punto che la stangata è arrivata anche dove la rete è alimentats al 70% da fonti alternative e solo per il restante 30 per cento dal gas naturale. L’impennata dei prezzi ha spinto Arera, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, ad avviare un’indagine sul teleriscaldamento per valutare l’introduzione da parte di governo e Parlamento di un regolazione delle tariffe che rispecchi i reali costi del servizio. In attesa dell’esito dell’indagine, si sono mossi i sindaci di Milano, Brescia, Varese e Torino che hanno scritto al governo per chiedere un intervento e la regolamentazione nazionale dei prezzi che fino ad oggi l’Italia non ha mai voluto, lasciando i gestori a determinare il prezzo e l’utenza col cerino in mano. Ma la risposta del governo non è ancora arrivata.
Pensionati e famiglie monoreddito che mostrano bollette triplicate e non sanno come pagare. E’ questa la trincea del teleriscaldamento a Le Vallette, periferia nord di Torino, dove i residenti si organizzano, raccolgono firme, danno vita a comitati contro gli aumenti da parte del gestore Iren. Il quotidiano La Stampa ha raccolto testimonianze di chi in un anno ha visto la bolletta passare da 50 euro a 140. In generale, dal primo trimestre 2021 a quello in corso le tariffe a Torino sono passate da 0,072 euro a kilowattora (kWh) a 0,189 euro, crescendo di 2,6 volte. Un salasso per chi riceve 500 euro di pensione. E infatti c’è chi è già in arretrato e chi rateizza. Gli aumenti sul teleriscaldamento sono iniziati già nel 2021 e a gennaio 2022 la famiglia tipo è arrivata a 476 euro contro i 226 dell’anno precedente. Chi si riscalda con l’impianto a gas spendeva un po’ di più l’anno scorso, 250 euro mediamente, ma il pur consistente rincaro è arrivato a 440 euro, con il paradosso che il più efficiente teleriscaldamento conviene meno della caldaia a gas.
A scanso di equivoci, va ribadito che il 74% del calore distribuito dalle reti del teleriscaldamento è prodotto da centrali a gas. Ma anche dove la componente di fonti alternative a quelle fossili è preponderante le cose non vanno meglio. A Brescia, dove due terzi degli edifici sono teleriscaldati, il 70 per cento del calore immesso in rete viene dai rifiuti termoutilizzati. Dall’inceneritore, per capirci. Eppure anche qui i residenti hanno visto raddoppiare le bollette. Grazie a una petizione al comune si è giunti a gennaio al blocco della tariffa da parte del gestore A2A, che lo ha poi prorogato fino al 31 dicembre. “Dov’è finito il vantaggio per gli utenti del teleriscaldamento?”, domanda Danilo Scaramella, ingegnere civile e presidente di Legambiente Brescia, che ha promosso la petizione. Dopo gli aumenti, spiega, “il prezzo è stato bloccato a 0,13 euro per kilowattora (KWh), lo stesso che attualmente paga chi consuma gas con una caldaia a condensazione”. Con una differenza fondamentale: “Che due terzi del teleriscaldamento bresciano è alimentato dal termoutilizzatore. A conti fatti stiamo pagando l’energia prodotta dai rifiuti come se fosse prodotta col gas naturale o l’energia elettrica“.
Ma col paradosso di un sistema che prospetta maggiore risparmio energetico e finisce per diventare più caro delle caldaie a gas i recenti scossoni del mercato c’entrano poco. O meglio, amplificano un problema che nei prossimi mesi potrebbe esplodere, con migliaia di famiglie morose e un costo sociale incalcolabile. “Il problema è la regolamentazione dei prezzi“, aggiunge Scaramella. “E i calcoli coi quali il gestore adegua quello del kilowattora”. La questione è tutt’altro che semplice e negli anni passati ha innescato le proteste di utenti che non capivano cosa stavano pagando. L’essenza del nostro paradosso è infatti tutta nell’algoritmo. A Brescia il prezzo del teleriscaldamento è stabilito legando il calore prodotto da fonti fossili (44% del totale) al prezzo del gas naturale, e quello del calore derivante da fonti alternative (56%) al prezzo dell’energia elettrica. “L’algoritmo ha funzionato in condizioni normali, almeno a Brescia, ma adesso con i prezzi impazziti è saltato tutto”, spiega il presidente cittadino di Legambiente, e fa notare che in poco più di un anno, dal primo trimestre 2021 al secondo del 2022, il prezzo del gas è salito del 168%. Ma nello stesso periodo quello dell’energia elettrica è balzato addirittura del 330%. “Per questo chiediamo garanzia di uno sconto che sia sempre almeno del 20 per cento rispetto al prezzo del gas e la revisione dell’algoritmo”, aggiunge Scaramella, che terminato il blocco concesso da A2A teme per l’impennata dei prezzi dal primo gennaio 2023.
E non è finita. Di fronte a simili aumenti, in mercati come quello del gas l’utenza può valutare altre offerte. Non con il teleriscaldamento, dove ogni rete è gestita da un unico esercente. Anche passare ad altra tecnologia, come un impianto a gas che ormai è più conveniente, è difficile. “I costi dello switch off sono ingenti, addirittura disincentivanti se si tratta di un condominio”, spiega Scaramella. Tutte questioni al centro dell’indagine conoscitiva sull’evoluzione dei prezzi e dei costi del servizio di teleriscaldamento dell’Autorità di regolazione per l’energia, che vista la normativa vigente non può incidere sulle tariffe, ma si affianca a chi ritiene indispensabile approdare a una regolamentazione nazionale che superi l’eccessiva “discrezionalità” del sistema attuale. Rispetto agli incrementi iniziati nel 2021 Arera scrive che, soprattutto per le reti alimentate anche da fonti alternative, “alla crescita dei prezzi del servizio non è necessariamente stato associato un corrispondente incremento dei costi di produzione dell’energia termica”. Insomma, traduce Scaramella, “Il livello raggiunto dai prezzi del teleriscaldamento non è giustificato“. E con Legambiente e a nome dei cittadini interessati chiede che si pervenga ad un “nuovo algoritmo che colleghi la variazione delle tariffe del teleriscaldamento all’incremento del costo del gas e dell’energia elettrica per le sole quote effettivamente utilizzate per la produzione del calore, escludendo dal calcolo il calore generato dalla combustione dei rifiuti“.
Paradosso nel paradosso, dopo l’esclusione dei teleriscaldati dagli sgravi introdotti dal governo nei settori dell’elettrico e del gas naturale, a scrivere all’esecutivo di Mario Draghi per tutelare l’utenza sono anche i sindaci di comuni azionisti del gestore unico del teleriscaldamento: Milano e Brescia, entrambi con quote in A2A. “Grazie agli extraprofitti dovuti anche ai rincari di gas metano ed energia elettrica, a primavera hanno incassato un grosso dividendo di 70 milioni, un bell’affare che però non deve danneggiare i cittadini”, conclude Scaramella. Senza dimenticare che, a differenza del gas, “lo smaltimento dei rifiuti genera già un utile ad A2A”. Così, insieme ai primi cittadini di Torino e Varese (Piemonte e Lombardia sono le prime regioni per diffusione del teleriscaldamento con oltre il 50% delle reti), i sindaci di Brescia e Milano hanno scritto ai ministeri dello Sviluppo Economico, dell’Economia e Finanze e della Transizione ecologica. Sull’esclusione dagli sgravi, avvertono che c’è il rischio di “creare una sostanziale disincentivazione del teleriscaldamento in netto contrasto con gli obiettivi ambientali nel settore del riscaldamento”. In aggiunta e proprio sulla scia di quanto deliberato da Arera e sostenuto da Legambiente, chiedono ai tre ministri “la promozione di un disposto normativo atto a mitigare l’impatto economico sugli utenti finali (famiglie, imprese, Enti)”. In parole povere, il teleriscaldamento deve essere conveniente. Dalla lettera, firmata dai quattro sindaci il 28 marzo scorso, sono ormai passati cinque mesi e una crisi di governo. Senza risposte, l’angoscia dei cittadini di Torino e di tanti altri (oltre un milione gli utenti in Italia in oltre 280 comuni) dovrà rivolgersi al Parlamento eletto il prossimo 25 settembre. Ma nel frattempo il cerino in mano ai teleriscaldati si è acceso e l’inverno minaccia di accorciarlo in fretta.