Tensioni e reciproche accuse si sono protratte fino all’ultimo minuto, con Belgrado che ancora oggi denunciava la volontà di Pristina “di volere nuovi scontri e disordini”. Poi l’accordo, annunciato via Twitter dall’Alto rappresentante Ue Josep Borrell: “Nell’ambito del dialogo facilitato dall’Ue, la Serbia ha accettato di abolire i documenti di ingresso/uscita per i titolari di carta d’identità del Kosovo e il Kosovo ha accettato di non introdurli per i titolari di carta d’identità serbi”. Una soluzione che arriva a pochi giorni dall’introduzione del divieto per i serbi del Kosovo di utilizzare documenti e targhe auto emessi dalle istituzioni di Belgrado previsto per il primo di settembre. Un provvedimento già rinviato di un mese a fine luglio in seguito a disordini e proteste che si temeva potessero ripetersi in questi giorni e che l’accordo delle ultime ore ha scongiurato.

“I serbi del Kosovo, così come tutti gli altri cittadini, potranno viaggiare liberamente tra il Kosovo e la Serbia utilizzando le loro carte d’identità. L’Ue ha appena ricevuto garanzie a tal fine dal primo ministro kosovaro Albin Kurti. Questa è una soluzione europea. Ci congratuliamo con entrambi i leader per la decisione”, scrive Borrell nel dare l’annuncio di un’intesa che è rimasta in forse fino all’ultimo. Ancora oggi infatti i rispettivi leader hanno rilasciato dichiarazioni poco concilianti, con il premier serbo Aleksandr Vucic che ha accusato Kurti “di volere nuovi scontri e disordini”. La questione si era accesa nel settembre 2021 quando le autorità kosovare avevano imposto la rimozione delle targhe serbe dalle auto in ingresso nel Paese chiedendo che venissero sostituite con altre, temporanee e riconoscibili per la sigla RKS – Repubblica del Kosovo. Un provvedimento che secondo Pristina rispecchiava quello speculare adottato dalle autorità serbe. Da lì susseguirsi di provocazioni e reciproche accuse che hanno trascinato nel dibattito anche Mosca, che a fine luglio si è appellata a Pristina, Stati Uniti e Unione Europea affinché “mettano fine alle provocazioni e osservino i diritti dei Serbi del Kosovo”.

Con Belgrado che non riconosce l’indipendenza del Kosovo e Pristina intenzionata a non cedere sulla conversione delle targhe per i serbi residenti nel nord del Paese, il pericolo di un’escalation ha spinto anche la Nato a intervenire, con il segretario generale, Jens Stoltenberg, che in due conferenze stampa a metà agosto ha redarguito soprattutto il primo ministro di Pristina, l’ultranazionalista Kurti. “La nostra missione di pace in Kosovo è focalizzata sul mandato ricevuto dall’Onu: dovesse la situazione deteriorare siamo pronti a intervenire. Il dialogo è l’unica soluzione per la regione”, aveva dichiarato Stoltenberg alla presenza del leader serbo Vucic e del premier kosovaro. E ancora: “In Kosovo abbiamo 4mila soldati e già la loro presenza ha un valore di stabilità. La missione Kfor è in contatto con le autorità a Belgrado e Pristina e questo serve ad evitare fraintendimenti: se necessario muoveremo le nostre forze dove serve aumentarle e agiremo se la situazione lo richiede in modo proporzionale”.

A fine luglio manifestazioni e barricate della minoranza serba in Kosovo avevano bloccato i confini di Jarinje e Bernjak, costringendo le autorità a sospendere i valichi. Le proteste avevano convinto Pristina ad aspettare alcune settimane prima di applicare le misure su documenti d’identità e targhe automobilistiche previste per il primo agosto. Ancora oggi Belgrado ha rilanciato concedendo a Pristina di poter rilasciare propri documenti di identità per ragioni pratiche e per facilitare gli spostamenti: “Essi però non saranno esclusivi e non rappresenteranno un riconoscimento implicito dell’indipendenza della sovranità statale del Kosovo. Belgrado, che non riconosce l’indipendenza del Kosovo, non può consentire che i serbi del Kosovo vengano trattati come stranieri”. Il tweet di Borrell, “abbiamo un accordo”, potrebbe chiudere definitivamente la vicenda.

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