“Non sono d’accordo ad abolire il reddito di cittadinanza per disabili o inabili al lavoro“. Lo ha detto Luigi di Maio martedì 23 agosto al Meeting di Comunione e Liberazione. Tre giorni dopo alla conferenza stampa di presentazione della campagna elettorale di Impegno Civico, gli è stato chiesto conto di questa affermazione. Oggi il ministro degli Esteri ritiene che la misura (di cui fu artefice nel governo Conte I) debba rimanere “per disabili o inabili al lavoro“, e tutti gli altri? Dai dati dell’ultimo rapporto annuale Inps e delle recenti dichiarazioni del ministro del Lavoro, Andrea Orlando, si evince che il 23% dei lavoratori percepisce un salario inferiore a 780 euro al mese. E in merito ai percettori del Reddito e pensione di cittadinanza, 3.048.988 persone appartenenti ai nuclei familiari beneficiari, solo 1/3 è occupabile (ovvero 900mila persone) ma di queste il 22% ha già un i piego che però non gli fa superare la soglia di povertà. Ne restano 750mila. Il 55% donne, difficilmente occupabili in settori come edilizia e agricoltura. I due terzi sono al sud (“Nelle aree aree in cui c’è mancanza di manodopera ci sono 300mila percettori di Reddito. Un numero consistente di loro ha un livello di scolarizzazione che non raggiunge la terza media”. dichiarò Andrea Orlando). A questi il reddito di Cittadinanza va revocato, dopo un’offerta di lavoro, qualunque essa sia, da parte dei privati? “I centri per l’impiego a parte poche eccezioni non stanno funzionando in Italia. Il meccanismo del reddito e dell’incrocio della domanda e dell’offerta di lavoro possa avvenire tra il percettore e l’impresa. Questo significa abolirlo? No, non l’ho mai detto. Ma se l’incrocio tra domanda e offerta può essere migliorato abbiamo il dovere di farlo”