"Lo schema di decreto in esame risulta poco efficace e foriero di contraddizioni e problematiche per il personale e per la scuola". E' il giudizio che l'organo ministeriale ha espresso in un parere sul testo firmato da Patrizio Bianchi. Inoltre, non essendo state presentate in tempo, le nuove norme avrebbero efficacia solo dal settembre 2023, quando il nuovo contratto collettivo sarà già intervenuto sulla mobilità dei docenti, che resta materia sindacale
Errori di forma e di sostanza quelli segnalati dal Consiglio superiore della Pubblica Istruzione (CSPI), che esprime parere negativo sullo schema di decreto voluto dal ministero dell’Istruzione per frenare i trasferimenti degli insegnanti da una scuola all’altra premiando chi rimane al suo posto con un bonus per il quale sono previsti 30 milioni di euro. Pur condividendo “la volontà del legislatore di riconoscere adeguato valore alla continuità didattica, educativa e progettuale a garanzia dello sviluppo personale di ciascun allievo”, si legge nel parere appena reso pubblico, l’organo ministeriale evidenzia in particolare come il testo finisca per premiare anche chi si è visto respingere la richiesta di trasferimento, non avendo mai manifestato l’intenzione di restare nella stessa scuola “a garanzia dell’interesse dei propri alunni e studenti alla continuità didattica”.
Quello che potrebbe essere l’ultimo atto del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi prima del passaggio di consegne al prossimo governo, il decreto per frenare le tante richieste di trasferimento dei docenti e salvaguardare la continuità scolastica degli studenti, parte male. Il parere del CSPI sulla bozza ministeriale è tranciante: “Lo schema di decreto in esame risulta poco efficace e foriero di contraddizioni e problematiche per il personale e per la scuola. Il rischio è quello di introdurre misure inefficaci rispetto ad un obiettivo di gran rilievo come quello di garantire e valorizzare la continuità dell’insegnamento”. Intanto, ricorda il Consiglio, essendo la mobilità dei docenti materia sindacale, il decreto dovrebbe introdurre “l’attribuzione dell’incentivo al personale che garantisce la continuità didattica «… solo in sede di prima applicazione e nelle more dell’aggiornamento contrattuale»”, secondo intenzione dello stesso governo espressa nel precedente DL di aprile 36/2022, già convertito in legge. Peccato che, non essendo stato adottato entro il 30 giugno 2022, il decreto in questione non possa che applicarsi solo dal settembre 2023, “periodo in cui il CCNI sulla mobilità sarà già intervenuto e avrà regolato tutta la materia”, si legge.
Oltre alla dubbia utilità, il CSPI spiega che non individuando il criterio dell’intenzionalità del docente di non cambiare scuola nell’interesse degli alunni, lo schema di decreto “rende inefficace la valorizzazione della continuità come prevista dalla norma”. E finisce per premiare anche chi “pur avendo prodotto domanda di trasferimento, casualmente non l’ha ottenuta”. Al contrario, penalizza chi la volontà di restare ce l’ha e “pur non avendo chiesto trasferimento, sia stato destinatario di mobilità d’ufficio o a domanda condizionata, per cui la condizione di soprannumerarietà diventa occasione di penalizzazione”. Ci sarebbe poi una contraddizione tra il decreto di aprile che parla di “anni di permanenza del docente nella stessa istituzione scolastica” e la bozza del nuovo decreto che invece riduce il requisito a un solo anno.
Ancora, “il provvedimento non fa poi alcuna distinzione tra comune e provincia di residenza del docente rispetto a quella in cui ha sede la scuola, per cui lo stesso incentivo verrebbe riconosciuto a chi è residente nella stessa provincia (ma non nello stesso comune) e a chi è residente fuori provincia”, scrivono i membri del CSPI. E fanno notare che “in molti comuni non sono presenti tutti i gradi e indirizzi di studio; ciò crea una disparità di opportunità lavorativa tra il personale docente conseguente alla dislocazione delle sedi”. Il parere, come ricorda la presidenza dell’organo ministeriale, è una tappa obbligata e non rappresenta un vincolo per il ministero, che può decidere se e in quale misura far sue le indicazioni del Consiglio. Che più in generale, sulle intenzioni del decreto, al ministro ricorda che “la continuità non è principio esclusivo di qualità dell’azione formativa poiché su questa ultima incidono anche altre variabili come, ad esempio, la formazione, la ricerca e la sperimentazione”. E poi: “La continuità deve essere vista nell’ottica dello sviluppo di una progettualità di scuola che crea comunità di pratiche, grazie anche alla stabilità dell’assetto organizzativo che permette il miglioramento dell’offerta formativa”.