Giulia Governo lavora negli Stati Uniti da nove anni. Il lavoro c'è, dice, ma l'uguaglianza sociale meno. Il fatto di essere straniera, inoltre, la mette in una condizione di precarietà: “Sono in ballo con visti: ogni tre anni devo rinnovare il mio permesso di soggiorno e mi trovo davanti al dubbio che la mia richiesta venga respinta"
Giulia Governo, 39 anni, che da Torino si è trasferita a Los Angeles, dove lavora come direttrice della fotografia. “Il mio mestiere consiste nel creare il look del film: decidere gli schemi delle luci e i movimenti di camera”. È partita nove anni fa per studiare alla New York Film Academy di Los Angeles, poi ha capito che se fosse tornata sarebbe stato impossibile anche solo avviarsi alla professione. “Negli Usa – racconta Governo – ci sono più progetti di basso livello per chi vuole iniziare: così cominci a farti conoscere, fai esperienza con registi che stanno crescendo con te e che quindi ti chiameranno quando avranno l’opportunità di fare un progetto più grosso”.
Il sistema italiano, dice Governo, è più ristretto. Questo, continua, lo rende poco accessibile, anche perché ci sono pochi fondi e troppe persone a contenderseli. “Produciamo meno film rispetto ad altri Paesi – spiega la direttrice della fotografia – e tendenzialmente sono sempre le stesse persone a farli. In America i finanziamenti sono privati, mentre in Italia sono per la maggior parte pubblici e vanno sempre alle stesse persone, quindi i nuovi professionisti sono poco supportati”. A Los Angeles i capitali non sono un problema. Quando si parla di uguaglianza sociale, secondo Governo, le cose si fanno più complicate e non è facile ambientarsi. Per quanto il suo settore sia tra i più finanziati, il fatto di essere straniera la mette in una condizione di precarietà: “Sono in ballo con visti: ogni tre anni devo rinnovare il mio permesso di soggiorno e mi trovo davanti al dubbio che la mia richiesta venga respinta. C’è sempre quella possibilità”. A valutare la domanda è un funzionario che decide soprattutto in base al curriculum, il che non è banale per chi lavora da freelance nel cinema: “Considerano quanti festival hai vinto, quanto i media si sono interessati ai tuoi lavori, e poi tutte le lettere di raccomandazione e le promesse lavorative che hai: devi dimostrare che hai dei lavori che stanno arrivando e ti permettono di vivere lì. Ma a giudicare il rinnovo del visto è sempre una persona che non sa niente del business dell’intrattenimento. E poi dipende dal presidente”. Nei nove anni di vita a Los Angeles, Giulia ha visto governare Barack Obama, Donald Trump e Joe Biden. L’effetto Trump l’ha sentito nel clima sociale: “Prima di Trump – spiega – tutti gli estremisti e i suprematisti bianchi non si sentivano così liberi di esprimere le proprie opinioni”. Ma è solo la punta dell’iceberg: “In America c’è da sempre un grosso problema: il razzismo. Trump, in un certo senso ha aperto le porte per un’altra discussione”.
Per via del suo mestiere, gli stereotipi Giulia li teme soprattutto in relazione al genere, uno dei motivi per cui in Italia avrebbe molte più difficoltà. “L’anno scorso, È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino è stato il primo film italiano importante con una direttrice della fotografia donna. È un buon punto, ma raro”. Le direttrici della fotografia donne in Italia sono poche e difficilmente fanno carriera: “Il peso dell’attrezzatura è stata la scusa più utilizzata per nascondersi. Adesso le telecamere sono molto più piccole, più leggere, quindi quel problema non esiste”. Ma il pregiudizio di genere rimane, e in parte si fonda sulla natura stessa del lavoro: “Anche se ha un forte aspetto artistico, fare il direttore della fotografia è considerato un lavoro tecnico e c’è ancora lo stereotipo che gli uomini sono più dotati per queste cose, come per l’informatica”. Secondo Governo, l’Italia, che nel cinema va a rilento, è indietro anni luce sulla parità di ruoli. Parte della soluzione potrebbe essere ripensare gli standard di produzione: “Deve cambiare la mentalità – spiega Giulia Governo – bisogna tornare a fare film di alta qualità, impegnati. Viviamo sugli allori dei lavori girati dal dopoguerra agli anni Sessanta ma adesso di film italiani ce ne sono pochi, spesso commedie o imitazioni degli Usa: non c’è più il cinema d’autore”. Secondo lei, si deve tornare allo stile che ha reso celebre il Cinema italiano: “Quando mi presento, dico sempre che sono una direttrice della fotografia italiana, perché automaticamente mi mette su un altro livello. Bisogna essere orgogliosi di essere italiani”. Giulia vorrebbe tornare a casa, ma al momento le sembra un miraggio: “Non ho contatti nel cinema italiano: vorrebbe dire ricominciare da zero”.