I "falchi" di Francoforte spingono per un rialzo "significativo" per contrastare la corsa dell'inflazione. Ma questo renderebbe anche più oneroso il costo del debito, un problema per paesi molto esposti come l'Italia
Si moltiplicano le voci all’interno della Banca centrale europea per un intervento deciso sui tassi di interessa in vista del vertice del prossimo 8 settembre. L’ultimo in ordine di tempo è il membro del consiglio direttivo e governatore della banca centrale lettone Martins Kazaks secondo cui il rialzo deve essere di almeno mezzo punto percentuale. “Solo così si può sperare di tenere a bada l’inflazione”, ha affermato oggi Kazakas. Ieri ad esprimersi erano stati il membro francese del consiglio direttivo Francois Villeroy de Galhau e la tedesca Isabel Schnabel. Il governatore della banca di Francia Villeroy ha detto che l’impegno della Bce ad agire sull’inflazione è “incondizionato”: un altro rialzo “significativo” dei tassi di interesse è un passo necessario in settembre. Anche il governatore della banca centrale finlandese Olli Rehm ha parlato della necessità di un intervento “significativo”.
“I rischi di recessione sono aumentati” ha affermato Isabel Schnabel, chiedendo comunque un’azione forte per riportare l’inflazione sotto controllo. Kazakas e Schnabel sono annoverati tra i “falchi” del consiglio direttivo della banca centrale europea, ossia più propensi a politiche monetarie restrittive. Una linea fortemente sostenuta anche dall’olandese Klass Knot, dal presidente della Bundesbank tedesca Joachim Nagel e dal belga Pierre Wunsch. Lo scorso 21 luglio la Bce ha alzato i tassi, per la prima volta in 11 anni, dello 0,5%. Per settembre si attende un intervento analogo che porterebbe il costo del denaro all’1% ma si rafforzano le pressioni per un rialzo più consistente, dello 0,75%.
Più neutro solitamente l’atteggiamento del francese Villeroy de Galhau mentre a favore di politiche monetarie più accomodanti sono gli italiano Ignazio Visco e Fabio Panetta, l’irlandese Philip Lane, lo spagnolo Pablo Hernandez De Cos e il greco Yannis Stournaras. Politiche monetarie più espansive (quindi con tassi bassi e/o programmi di acquisti di titoli di Stato dei paesi membri) riducono il costo del debito dei paesi membri, ossia quello che ogni anno si paga in interessi sui titoli di Stato in circolazione. Per questo i rappresentanti di paesi con debiti elevati in rapporto al Prodotto interno lordo tendono a preferirle e favorirle. Il rovescio della medaglia è che queste politiche contribuiscono a favorire l’inflazione che lo scorso luglio nella zona euro ha toccato l’8,9%. Il livello ritenuto ottimale dalla Bce è del 2%.
A differenza della Federal Reserve, la banca centrale statunitense, il cui mandato pone sullo stesso piano stabilità dei prezzi e crescita economica, in quello della Bce il controllo dei prezzi ricopre, almeno formalmente, una posizione prioritari. La Bce è stata infatti modellata sulla Bundesbank tedesca, la banca centrale di Germania, storicamente molto attenta a contrastare l’inflazione. Un rialzo dei tassi significa, più in generale,anche un maggiore costo per acceder a prestiti e mutui, quindi una minore quantità di denaro in circolazione e un rallentamento dell’attività economica.