Il lavoro è stato pubblicato su Frontiers in Virology da un team di ricerca della statunitense Emory University e della britannica Università di Oxford. Daniel Weissman, fra gli autori: "Invece di evolvere dalle catene di trasmissione in centinaia di milioni di persone, i nostri risultati mostrano che queste varianti derivano da rari casi in cui qualcuno potrebbe avere avuto un’infezione attiva per mesi"
La prossima variante del Covid in grado di sconvolgere nuovamente le nostre vite potrebbe non essere il frutto dell’alto numero dei contagi, piuttosto dell’evoluzione del virus in un malato cronico. Secondo uno studio pubblicato su Frontiers in Virology da un team di ricerca della statunitense Emory University e della britannica Università di Oxford alcune delle varianti di coronavirus che hanno destato maggiore preoccupazione dal punto di vista epidemiologico sono emerse come risultato di infezioni croniche a lungo termine da Covid in persone immunodepresse o comunque con un organismo incapace di eliminare il virus. “Invece di evolvere dalle catene di trasmissione in centinaia di milioni di persone, i nostri risultati mostrano che queste varianti derivano da rari casi in cui qualcuno potrebbe avere avuto un’infezione attiva per mesi”, afferma Daniel Weissman, tra gli autori dello studio e professore di biologia e fisica alla Emory. “Un messaggio chiave che deriva da questa scoperta è che è importante trovare queste persone che sono cronicamente infette e fornire loro supporto per riprendersi”, aggiunge Mahan Ghafari, primo autore dello studio e ricercatore post-dottorato presso l’Università di Oxford. “In molti casi possono essere asintomatici e non rendersi nemmeno conto di essere infetti, sebbene stiano attivamente diffondendo il virus”.
Nel tempo almeno alcune delle varianti più preoccupanti del Covid sono state rilevate in casi cronici di Covid, portando all’ipotesi che questi stessi casi a lungo termine potessero essere la fonte delle dette varianti. Ghafari, Weissman e i loro colleghi sono stati tra i primi a testare metodicamente questa teoria concentrandosi sull’emersione delle varianti alfa, beta e gamma. I ricercatori hanno costruito un modello teorico meccanicistico per studiare il problema, utilizzando i dati esistenti e un software che hanno sviluppato in proprio. Il modello risultante esclude la teoria secondo cui le varianti siano emerse dall’ampia trasmissione di infezioni acute e supporta invece la teoria secondo cui ciascuna variante si sia evoluta all’interno di un singolo individuo con un’infezione cronica. Sebbene il presente studio si basi su dati solo per le varianti alfa, beta e gamma, il modello teorico risultante potrebbe spiegare anche la successiva comparsa indipendente delle varianti delta e omicron. Allo stato, I ricercatori hanno reso pubblici e disponibili il loro modello e il loro software per consentire ad altri studiosi di indagare l’evoluzione delle restanti varianti SARS-CoV-2, nella speranza di individuare un modo efficace per prevenire o limitare l’insorgenza di nuove versioni del virus.