Nati sotto una cattiva stella, gli animali impiegati nella vivisezione diventano dopo la morte un approssimativo elenco di numeri e istogrammi destinati agli specialisti. Nessuno li piange, nessuno li ricorda, nessuno vorrà mai sapere chi fossero e cosa sentissero. E se pensate che nel settore dei cosmetici le cose vadano diversamente, siete fuori strada.

Dieci anni dopo essere stati messi al bando dal Regolamento del 2013, i test animali per i cosmetici sono in ripresa in tutta Europa. Ed è contro questa ingrata deriva che un centinaio di associazioni animaliste europee hanno fatto quadrato attorno a Peta, promuovendo una raccolta firme, Save Cruelty Free Cosmetics, che ha superato il milione di adesioni ed è ormai prossima alla conclusione.

Due le richieste avanzate alla Commissione Europea: far rispettare il Regolamento cosmetici; incentivare sul serio il superamento della sperimentazione animale. Accecare conigli, avvelenare topoline gravide, ustionare ratti per vendere rossetti e gel rassodanti non ha niente a che fare con la scienza. Non è progresso, non è salute, non è bellezza: è la resa dell’etica a fronte di una “ragione economica”, che può prendersi il piatto senza troppa fatica grazie all’esistenza di un altro Regolamento europeo di nome Reach.

Per riequilibrare questa partita dalle molte implicazioni sia culturali sia economiche servirebbero visione e coraggio, due piante che a Bruxelles non crescono rigogliose. E in ogni caso, due leggi più diverse per ispirazione e raggio d’azione era difficile immaginarle: il Regolamento del 2013 vieta che gli ingredienti chimici contenuti in un cosmetico siano testati su un essere vivo: il principio cui si ispira è che se non esiste un test sostitutivo allora non se ne fa niente o si studia un metodo sostitutivo ad hoc, perché un cosmetico è un prodotto voluttuario, e se non c’è sul mercato non mancherà a nessuno.

Il Reach del 2007 prescrive invece che a tutte le sostanze chimiche in uso venga attribuito un identikit, un dossier realizzato ad hoc con pagine e pagine e resoconti dove si ammucchiano i dati provenienti da test diversi, molti dei quali su animali. Realizzati sotto la responsabilità delle industrie produttrici e distributrici di ogni singola sostanza, questi dossier finiscono a Helsinki dove i dipendenti dell’Echa, l’Agenzia Europea per le sostanze chimiche, decidono se richiedere ulteriori studi, magari come spesso accade test animali.

Mentre il Regolamento Cosmetici, per la sua capacità di innescare tecnologie innovative, ci consola raccontandoci come vorremmo essere (cittadini consapevoli che non uccidono per vanità); il Reach, per come è stato concepito e viene applicato, ci dice invece che cosa siamo in realtà: puri amministratori di ciò che è sempre stato, anche se stupido e crudele, anelli passivi di una lunga catena di decisioni economiche dove nessuno, dal produttore al legislatore al consumatore, si sente responsabile di alcunché.

Con un fatturato pre-pandemia che sfiora gli 11 miliardi di euro, il settore dei cosmetici è uno dei più vivaci nonché bizzarri d’Europa. La sventagliata di prodotti che offre al pubblico è da capogiro: ogni anno, le grandi aziende della cosmesi rinnovano non meno del 25%-30% del proprio portafoglio di rossetti, smalti, profumi & co. E se la maggior parte delle offerte sono solo revisioni di formule già consolidate, un’importante frazione di queste consiste invece di autentiche novità: dagli 80 ai 100 ingredienti nuovi di zecca che vanno ad aggiungersi allo sbalorditivo esercito di ringiovanenti, rassodanti, setificanti, snellenti e coloranti provenienti da ogni angolo della Terra che ci assediano dagli scaffali. E che sono, naturalmente, sempre più innovativi, efficaci, attivi e performanti.

Né sorpresi né turbati da questo impressionante marasma produttivo e linguistico, non temono l’assurdo i funzionari dell’Echa quando esigono nuovi test sugli animali, anche per sostanze che sono sul mercato da decenni e/o sono di uso esclusivo per i cosmetici e magari anche comprovatamente innocue. Né lo temono i commissari europei che girano lo sguardo lontano dal grande nodo che avrebbero da sciogliere: il perverso rapporto tra le dinamiche economico-finanziarie, l’inquinamento del pianeta, la salute degli esseri viventi, la sperimentazione animale.

La fondatezza scientifica di quest’ultima è da tempo in discussione anche nei più noti siti di eccellenza della ricerca internazionale. Chiedere ai produttori di cosmetici un supplemento di test animali per questa o quella sostanza potrà anche far contento qualche funzionario dell’Echa o della Commissione Europea con la giacchetta appesa alle grucce del suo passato e dello status quo, ma non renderà il nostro mondo più sicuro. Farà soffrire un incalcolabile numero di esseri senzienti, accrescerà il dolore della Terra, ci renderà più poveri, sperduti, inquinati, malati.

Per dire “No, io non ci sto”, c’è tempo ancora una settimana. Se volete firmare, munitevi di carta di identità e andate qui.

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