Il centro studi sottolinea che per gestire l'emergenza i Paesi Ue saranno spinti "ad adottare misure non coerenti con i programmi della transizione ambientale, ad esempio utilizzando centrali a carbone e nucleari che erano in via di dismissione". Una scelta che nel medio-lungo periodo si rivelerà controproducente: "Nei prossimi anni la partita della competitività dei diversi Paesi europei sarà giocata sulla capacità di affrancarsi dalle importazioni di gas, aumentando la produzione interna da fonti alternative"
La crisi energetica costerà all’Eurozona quest’anno almeno 500 miliardi di maggiori costi, che potrebbero salire a oltre 1200 se i prezzi del gas non torneranno ai livelli di giugno ma resteranno sulle quotazioni senza precedenti degli ultimi giorni. Una situazione che costringerà i settori a maggiore intensità energetica a ridurre le attività, sia per provvedimenti dei governi sia in via volontaria, per contenere gli esborsi. Questo “in parte porterà a ritardi nel soddisfacimento della domanda, ma in alcuni casi potremmo anche vedere una riduzione permanente della produzione legata alla perdita di competitività delle produzioni europee e all’aumento delle quote di mercato di altri competitor internazionali che hanno subito minori rincari”. E’ la previsione dell’istituto di ricerche Ref, che fa parte del panel di previsori su cui si basano le stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio. A vincere la partita della competizione internazionale, dunque, saranno i Paesi che “prima di altri riusciranno ad accrescere la propria indipendenza energetica”.
Nell’ultima nota sulla congiuntura economica, il centro studi presieduto da Angelo Baglioni conferma che dopo un’estate di recupero grazie all’ottimo andamento della stagione turistica e – in Italia – alla spinta dell’edilizia trainata da Superbonus e opere pubbliche ci aspetta ora un autunno difficile. Sul lato dei consumi, l’impatto dei rincari potrebbe essere attutito dal fatto che a partire dai lockdown le famiglie hanno accumulato risparmio in eccesso e non l’hanno ancora speso tutto. Ma si tratta di un fenomeno “circoscritto a una platea di famiglie privilegiate”, quelle che di per sé sarebbero già meglio attrezzate per reggere lo shock inflattivo. Gli aumenti dei prezzi pesano molto di più su quelle a basso reddito, la cui domanda è destinata giocoforza a ridursi nonostante le risorse messe in campo dai governi: “Gli interventi della politica di bilancio potranno assorbire solo una parte dei rincari. Resteranno ampi oneri che graveranno sulle famiglie direttamente, e in parte in maniera indiretta, attraverso i rincari dei prodotti”.
La portata dell’impatto è eccezionale: “Le famiglie dell’area euro prima di questa crisi spendevano solo per le utenze domestiche relative a elettricità, gas e altri combustibili circa 240 miliardi all’anno pari al 4 per cento dei consumi (36 quelle italiane, circa il 3.5 per cento dei consumi)”, spiega il report. “Tali costi nel 2023 potrebbero essere di fatto triplicati, portando a regime a un costo aggiuntivo per i consumatori pari a 7-8 punti percentuali del loro reddito, solo considerando le utenze domestiche”. Questo “porterà certamente nei prossimi mesi a una maggiore attenzione nei consumi domestici di energia. Oltre all’effetto diretto degli aumenti sui consumi di energia, dovremmo anche osservare una minore domanda per gli altri prodotti e servizi; la debolezza dei consumi si dovrebbe cioè estendere a tutte le voci di spesa”. Dal lato della produzione, dunque, le aziende dovranno fare i conti con una domanda più cauta e costi più alti. Di qui la previsione di interruzioni volontarie o obbligate delle attività, a favore dei concorrenti extra europei.
In questo quadro, “nei prossimi mesi dovremo fare di più dal lato della domanda. Probabilmente le famiglie europee adotteranno autonomamente misure di freno ai consumi, ma non sono escluse misure esplicite di razionamento, come una riduzione degli usi domestici, con vincoli alle temperature nelle abitazioni o ridimensionamenti degli orari di accensione degli impianti. Altre misure potrebbero essere adottate per frenare l’attività delle aziende energivore negli orari di picco della domanda”. Per gestire l’emergenza i Paesi Ue saranno spinti “ad adottare misure non coerenti con i programmi della transizione ambientale, ad esempio utilizzando centrali a carbone e nucleari che erano in via di dismissione”. Una scelta che nel medio lungo periodo si rivelerà però controproducente: “Nei prossimi anni la partita della competitività dei diversi Paesi europei sarà giocata sulla capacità di affrancarsi dalle importazioni di gas, aumentando la produzione interna da fonti alternative. I sistemi produttivi che riusciranno prima di altri ad adottare standard adeguati dal lato delle rinnovabili potranno beneficiare del know how accumulato rispetto ai concorrenti, e già nel breve potranno avere costi energetici inferiori”.
I costi di produzione di energia attraverso fonti rinnovabili, infatti, sono calati moltissimo nell’ultimo decennio: “Tra il 2010 e il 2021 i costi di produzione dell’energia elettrica degli impianti fotovoltaici si sono ridotti dell’88 per cento, mentre nello stesso periodo i costi di produzione degli impianti eolici si sono ridotti del 68 per cento. Dati gli elevati costi di produzione dell’energia legati all’aumento del prezzo del gas, in Europa nel 2022 la produzione di energia da fonti rinnovabili è stata nettamente meno costosa”. Già oggi di conseguenze le aziende che hanno investito per aumentare l’autosufficienza energetica, puntando sull’autoproduzione di energia attraverso il solare, “stanno godendo di un guadagno di competitività clamoroso verso i concorrenti”. Chi si sta muovendo ora sconta la fase di saturazione a cui sta andando incontro la filiera del solare e soprattutto i vincoli burocratici e amministrativi: “Un aspetto deleterio perché in questa fase i costi dei ritardi possono modificare in maniera sostanziale la posizione competitiva e i destini di molte aziende”.